martedì 29 settembre 2020
Il caso segnalato da una donna su Facebook: "Non avevo dato il mio consenso alla sepoltura. E il mio nome sulla croce è una violazione della privacy". Cosa dice il regolamento della Polizia mortuaria
Una delle croci al cimitero Flaminio, nel campo riservato ai bambini non nati

Una delle croci al cimitero Flaminio, nel campo riservato ai bambini non nati - Twitter / Ansa

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Un aborto terapeutico, un feto di 20 settimane inumato in un cimitero romano. La madre scopre della sepoltura, da lei non richiesta, e anche che sulla esile croce in un campo del cimitero Flaminio c'è il suo nome e cognome. Denuncia il caso su Facebook esprimendo tutto il suo sconcerto per la violazione della privacy subita. E subito si solleva un polverone che arriva fino al Parlamento.

I fatti. Diversi mesi fa in un ospedale romano viene eseguita una interruzione di gravidanza terapeutica. Nel momento in cui firmò tutti i documenti, racconta la donna sul social, le chiesero se volesse procedere lei al funerale e alla sepoltura, e rispose di no: "Non ho avuto la lucidità sufficiente per chiedere cosa succedesse al feto". Ma dopo 7 mesi viene colta da un dubbio: "Decisi di chiamare la struttura nella quale avevo abortito, e dopo aver ricevuto risposte vaghe, decido di contattare la camera mortuaria". Che le conferma che il feto è lì da loro: "Signora - le dicono - noi li teniamo perché a volte i genitori ci ripensano. Anche se lei non ha firmato per la sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza (sic). Avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome". "Quale nome? Non l'ho registrato. È nato morto", chiede incredula la donna. "Il suo, signora - si sente rispondere - La chiameremo noi quando sarà spostato al cimitero".

La donna allora si informa sulla normativa, e sul sito dell'Ama - la municipalizzata di Roma che ha la competenza sui servizi cimiteriali - scopre che la procedura è nero su bianco: "In assenza di un regolamento regionale", si legge, è disciplinata dal Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria. In sintesi, i "prodotti del concepimento sotto le 20 settimane vengono sepolti solo su richiesta dei familiari". Altrimenti sono considerati con la terribile espressione 'prodotti abortivi' e "trattati come rifiuti speciali ospedalieri dalle Asl". Le cose cambiano dalla 20ma alla 28esima settimana: i feti "vengono sepolti su richiesta dei familiari o, comunque, su disposizione della Asl". Ora: in caso di richiesta dei familiari, si ricava sempre dal sito Ama, c'è uno spazio specifico, il 'Giardino degli Angeli' nel cimitero Laurentino, inaugurato nel 2012 sotto il sindaco Alemanno. Qui "le lapidi sono tutte uguali tra loro: il riconoscimento è reso possibile da un codice posto sul retro". Per i feti che invece vengono "sepolti su semplice richiesta della Asl" c'è un campo al cimitero Flaminio dove essi "giacciono in fosse singole, contraddistinte da un segno funerario apposto da Ama-Cimiteri Capitolini", una "croce in legno e una targa su cui è riportato comunemente il nome della madre o il numero di registrazione dell'arrivo al cimitero, se - specifica il sito - richiesto espressamente dai familiari".

Richiesta che però la donna nega di aver fatto. Le uniche parole positive le spende per il personale della camera mortuaria, che ha dimostrato "umanità e gentilezza". Ma il caso è scoppiato. In particolare, c'è il tema della privacy: "Vedere il proprio nome stampato sulla croce di un feto è una evidente violazione - dice la senatrice Dem Monica Cirinnà - Come dire a tutti: la signora ha abortito". Il deputato radicale Riccardo Magi annuncia di rivolgersi al Garante: "Bisognerebbe chiedere all'amministrazione comunale di intervenire e chiarire se c'è stato un problema oppure è un modo d'agire sistematico, e correggerlo immediatamente".

Lo stesso Garante ha aperto un'istruttoria per accertare la regolarità della procedura. Dopo la denuncia pubblica della prima donna, altre si sono fatte avanti con testimonianze del tutto analoghe. A raccogliere le segnalazioni è l'ufficio legale di Differenza donna che ha deciso di promuovere una class action. Anche la regione Lazio si sta interessando del caso, mentre Ama e ospedale si addossano a vicenda la colpa: il San Camillo, dove è stata effettuata l'interruzione di gravidanza, ha dato la responsabilità di un'eventuale violazione della privacy all'Ama, la municipalizzata che a Roma si occupa dei cimiteri, ("non abbiamo responsabilità della sepoltura") che a sua volta precisa di avere "seguito gli input dell'ospedale".

I nomi e cognomi della madri sono solo al cimitero Flaminio, non al Lauretino.



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