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Vladimir Putin - ANSA
È un caso? Nel pieno dell’offensiva di Israele contro l’Iran, Vladimir Putin e Xi Jinping, uno dal Forum economico internazionale di San Pietroburgo e l’altro dal secondo summit Cina-Asia Centrale di Astana (Kazakstan), si sono consultati e hanno deciso di incontrarsi per un bilaterale il 2 settembre a Pechino, durante i lavori dell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione.
La domanda è ovviamente retorica, perché l’uno e l’altro sono politici troppo smagati per non aver capito al volo che la guerra preventiva scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’ipotesi nucleare iraniana (non più di un’ipotesi, come certificato in questi giorni dall’Agenzia Onu per l’energia atomica e un mese fa da Tulsi Gabbard, direttrice dell’intelligence Usa), all’apice peraltro di una serie di altre guerre originate dalla strage di Hamas dell’ottobre 2023, ha come obiettivo reale la decostruzione del Medio Oriente e la sua ricostruzione con un’architettura più consona alle esigenze di un Occidente che si sente sempre più contestato (dal punto di vista militare, commerciale, tecnologico e anche istituzionale) e in qualche caso anche minacciato.
Da questo punto di vista, le divergenze tra Donald Trump e gli europei riguardano la tattica e gli interessi geopolitici (gli Usa vogliono concentrarsi sul confronto con la Cina nell’Indo-Pacifico, gli europei temono la Russia alle porte di casa), non la strategia complessiva. E proprio questo intende il cancelliere tedesco Merz quando dice che «Israele fa il lavoro sporco per noi».
Si tratta, in sostanza, di compiere due operazioni. Spezzare l’asse economico-militare tra Russia e Iran, che negli ultimi anni si è concretizzato con le forniture di droni iraniani, la costruzione da parte di Rosatom di due nuovi reattori nucleari per la centrale di Busher (e Putin ha annunciato un accordo con Israele per mettere al sicuro i 200 tecnici russi) e il progetto del Corridoio commerciale Nord-Sud. E ostruire il canale economico tra Iran e Cina, che da Teheran porta a Est il 15% del petrolio consumato da Pechino, mentre poche settimane fa è stata inaugurata la linea ferroviaria diretta tra Xi’an e Aprin, capace di trasformare l’Iran in uno hub commerciale alternativo. In sostanza, di mettere in crisi la presenza politica dei due colossi in Medio Oriente, diventata ormai ingombrante.
Xi Jinping e Putin stanno reagendo in modi diversi. Pechino presidia il fronte del Mar Cinese meridionale e mette pressione su Taiwan, aspettando una reazione Usa che tarda a manifestarsi proprio perché la potenza americana è impegnata su altri fronti. Putin, invece, intensifica il martellamento sull’Ucraina perché gli smottamenti della posizione russa in Medio Oriente (non dimentichiamo l’uscita forzata dalla Siria e la relazione complicata con Israele) devono, dal suo punto di vista, trovare compensazione. O, meglio: non possono accompagnarsi a un cedimento anche sul fronte ucraino. Ecco dunque Putin che da San Pietroburgo blandisce e minaccia insieme, dicendosi pronto a trattare anche con Zelensky («Ma solo quando si tratterà di mettere la parola fine»), ma intanto ribadendo che per l’Ucraina le cose possono solo peggiorare.
È la strategia che il Cremlino ha seguito dal momento in cui Trump ha avviato il suo tentativo di mediazione. E che ha un solo vero significato: si può trattare ma solo alle nostre condizioni. Che, come si sa, sono condizioni capestro: Ucraina fuori dalla Nato e neutrale, quattro regioni trasferite alla Russia, esercito ucraino ridimensionato, libero uso della lingua russa e libera azione per la Chiesa ortodossa russa. Un capestro, però, a cui Putin non vuole e soprattutto non può rinunciare, perché in quel caso cadrebbero tutti i presupposti su cui la Russia ha basato a rottura con l’Europa occidentale, la ristrutturazione della propria economia, il gemellaggio più o meno forzoso con la Cina e le ingenti perdite, umane e materiali, inflitte alla propria popolazione.
Putin non può arretrare di un millimetro perché con l’invasione dell’Ucraina ha tentato, con mezzi assai inferiori, la stessa operazione che ora subisce: respingere verso Ovest l’influenza dell’avversario, come ora in Medio Oriente viene respinta verso Est quella cinese e verso Nord quella Russa. Per la pace in Ucraina, purtroppo, dovremo aspettare ancora a lungo.