lunedì 23 agosto 2021
Dal braccialetto elettronico alle sottovalutazioni dei giudici, parla la presidente della Commissione d’inchiesta sui femminicidi: «Le misure di protezione ci sono, ma vanno applicate meglio»
La senatrice Pd Valeria Valente, presidente della Commissione d'inchiesta sui femminicidi e la violenza di genere

La senatrice Pd Valeria Valente, presidente della Commissione d'inchiesta sui femminicidi e la violenza di genere - Ansa

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Non c’è via d’uscita. Non basta il coraggio della denuncia, non bastano l’allontanamento, la condanna per stalking, le restrizioni della libertà personale. «Le donne vengono uccise lo stesso e se questo succede, come è successo di nuovo nel caso di Vanessa, è un fallimento dello Stato». La senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio e la violenza di genere, è un fiume in piena. Il caso della 26enne ammazzata a colpi di pistola mentre camminava coi suoi amici sul lungomare – la quarta vittima in 24 ore della follia degli uomini che odiano le donne, dicendo d’amarle – è la goccia che fa traboccare un vaso destinato a riempirsi di nuovo, e di nuovo.

Cosa non funziona senatrice?
Stiamo cercando di capirlo e di documentarlo, come Commissione d’inchiesta sui femminicidi, ormai da mesi. Ci mancano ancora le risposte di procure e tribunali su 30 casi, poi pubblicheremo i dati. Il vulnus nel sistema intanto è evidente: pur in presenza di un quadro normativo robusto e di misure di protezione importanti, queste ultime non vengono applicate o non vengono applicate in maniera abbastanza tempestiva.

Faccia un esempio.
Penso all’uso del braccialetto elettronico: si è parlato tempo fa di una scarsa disponibilità dei dispositivi, ma sempre come Commissione abbiamo verificato col Viminale che i braccialetti ci sono. Servono però giudici che decidano di impiegarli, serve capacità di valutazione del rischio e di lettura della pericolosità delle situazioni in cui si trovano le donne. C’è poi il Codice rosso, la possibilità di arresto in flagranza per chi viola le misure di protezione (che è una norma appena approvata alla Camera per emendamento di Lucia Annibali alla riforma del Processo penale). Presto, speriamo, anche il fermo di 48 ore per chi non è colto in flagranza: vogliamo introdurlo.

Quando parla della capacità di valutazione del rischio da parte dei giudici, intende dire che manca?
Serve indubbiamente più formazione, a tutti i livelli, non solo quelli di gip e pm. Sul tema della violenza di genere devono essere preparati consulenti, psicologi, periti, avvocati, ovvero tutte le figura che intervengono in un percorso processuale. E se questa preparazione la troviamo già nelle procure delle grandi città, non è altrettanto diffusa in quelle dei piccoli centri o nell’ambito della giustizia civile. Il punto è che ci sono segnali che non possono più essere sottovalutati e servono urgentemente fondi da destinare a questo ambito. Di più, c’è la questione della legge sulle statistiche in tema di violenza di genere inspiegabilmente ferma alla Camera dopo l’approvazione all’unanimità al Senato: quella legge ci permetterebbe di avere finalmente dati su quello che avviene nel nostro Paese, dai primi danni all’auto di una donna da parte di un uomo fino alle aggressioni verbali in strada. Solo in questo modo possiamo prevenire i femminicidi, arrivando prima, catalogando come violenza di genere già questi gesti che altrimenti finiscono nel calderone di reati ordinari.

Fondi per la formazione sono previsti nel Recovery?
Ci sarà qualcosa per le infrastrutture sociali, che sarà destinato ai Centri antiviolenza. Fondi per la formazione tuttavia possono essere “liberati” grazie al Recovery: serve solo decidere di impiegarli in questo senso. Sulla violenza di genere, non mi stancherò mai di ripeterlo, serve un’assunzione di visione della politica tutta e un impegno condiviso a ogni livello.

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