martedì 19 marzo 2019
Dopo i primi immigrati africani don Peppe nella sua parrocchia a Casal di Principe accolse anche tante donne dell'Est Europa, sfruttate dalla prostituzione
Don Peppe Diana aprì la sua porta a migranti, rifiutati e sfruttati
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«Non c'era posto per loro» è una delle frasi del Vangelo dei giorni di Natale che più tormentava don Peppe Diana. Non c’era posto per i più poveri, per gli immigrati nei quali vedeva il rifiuto della stessa famiglia di Gesù. Don Peppe già 30 anni fa aveva capito il dramma dei migranti, rifiutati e sfruttati.

Spesso dallo stesso sistema criminale che il parroco denunciava. Così decise di impegnarsi e lo fece in modo molto concreto. Anche questa volta molto prima di altri a conferma della grande attenzione ai problemi della sua terra. «Lamentava l'assenza di una concreta possibilità di accoglienza per chi veniva da lontano - ricorda don Franco Picone, suo successore alla guida della parrocchia di San Nicola di Bari e oggi vicario generale della Diocesi di Aversa - e per questo citava spesso quel passo del Vangelo». Ma non si limitava alla denuncia. Così, superando tutti gli ostacoli, aprì i locali della parrocchia dove faceva mangiare e dormire gli immigrati. «Non poche furono allora le critiche – è ancora il ricordo di don Franco - di chi a Casal di Principe pensava che ognuno deve restare dove è nato, non deve sottrarre lavoro. Ma don Peppe andò avanti spiegando che i disagi delle ingiustizie mondiali dovevano essere considerati responsabilità anche dei Paesi più ricchi».

E dopo i primi immigrati africani la parrocchia ha accolto anche tante donne dell'Est Europa, sfruttate dalla prostituzione. «Le facevano lavorare di giorno come bariste – denuncia don Franco – e la sera le portavano sulla strada». Don Peppe le aiutava, anche a liberarsi da questa forma di schiavitù, nuovamente unendo carità e legalità. Ricordiamo che il 25 agosto 1989 a Villa Literno, paese confinante con Casal di Principe, era stato ucciso Jerry Masslo, rifugiato sudafricano, bracciante nella raccolta del pomodoro e attivista per i diritti dei migranti. Sicuramente un evento simbolo, al punto che al nome di Jerry Masslo venne intitolata l’associazione nata il 24 ottobre 1989 e guidata da Renato Natale, amico di don Peppe, che da allora sostiene gli immigrati e la loro integrazione, con l’impegno del volontariato medico sociale.

Il 24 aprile 1990 un altro evento drammatico, la “strage di Pescopagano”, frazione di Castel Volturno. Quattro immigrati africani e un italiano vennero uccisi dal clan La Torre, legato ai “casalesi”. Una punizione nel mondo dello spaccio ma condotta in modo violentissimo (alcune delle vittime erano totalmente estranee), provocato da una forte intolleranza verso i migranti che nell’area stava crescendo e della quale la camorra, molto sensibile nella ricerca del consenso, si faceva interprete a modo suo. La strage, infatti, era stata preceduta dalla comparsa di volantini che riportavano queste durissime parole: “È aperta la caccia permanente al nero. Data la ferocia di tali bestie e poiché scorrazzano per il territorio in branchi, si consiglia di operare battute di caccia in gruppi di almeno tre uomini”. Don Peppe non si era girato dall'altra parte ma ancora una volta aveva aperto la sua porta. Con impegno e condivisione. Sul web è possibile trovare un filmato di una festa di immigrati africani organizzata dal parroco e dai giovani che collaboravano con lui. Si canta, si balla e anche don Peppe partecipa battendo le mani e poi tambureggiando sul tavolo. «Ci venne l’idea di organizzare una serata di festa invitando tanti di quei ragazzi - ricorda Salvatore Cuoci del Comitato don Peppe Diana -. Quella sera i ruoli erano capovolti: loro i padroni di casa serviti e riveriti e noi i camerieri. Tra risate e sfottò Peppe si affannava tra i tavoli per soddisfare le richieste dei ragazzi seduti a tavola. Era stato lui, che ne conosceva e aiutava tanti, a prodigarsi per farli venire. La cena finì con balli e canti, tra tamburi africani e tamurriate, per la gioia di don Peppe che le amava molto».

Nel filmato è evidente allegria sul suo volto anche se velata di preoccupazione perché avrebbe voluto fare di più, come ricordò pochi giorni dopo la sua uccisione monsignor Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta.

«Si rivolgeva con attenzione di madre ai suoi “ragazzi neri”. Il sacerdote della Chiesa di Cristo, don Peppino, li amava tanto. Li aiutava sempre anche con grandi sacrifici. E stava costruendo per loro una bella “casa d’accoglienza”. Ma gli uomini invidiosi della bontà l’hanno fatto stramazzare sulla soglia». Un sogno che si è realizzato dopo venti anni con la nascita nella parrocchia di San Nicola di uno sportello informativo e di segretariato sociale per gli immigrati intitolato al sacerdote e dall'anno scorso con l'ospitalità a una famiglia eritrea giunta coi corridoi umanitari promossi dalla Cei.

Un regalo a don Peppe ma anche un regalo di don Peppe che continua col suo esempio e la sua morte a indicare la strada del riscatto di questa terra e anche dei fratelli immigrati. Insomma, aggiunge con soddisfazione don Franco ricordando don Peppe, «una sua vittoria e uno dei modi più belli per tenere viva la sua memoria». Come Salem e Saber che in eritreo vogliono dire Pace e Pazienza, nomi più che simbolici, nati il 29 maggio 2018 ad Aversa. Figli dell’accoglienza, figli della speranza. Figli di quel sogno realizzato di don Peppe. Accolti nella parrocchia con mamma e papà, assieme alla sorellina di 9 anni, arrivati un anno fa coi corridoi umanitari, dopo anni di guerra e campi profughi. E ora, grazie alla diocesi di Aversa, all'impegno convinto del vescovo Angelo Spinillo e del direttore della Caritas, don Carmine Schiavone e di Roger Adjicoudé, responsabile Area Immigrazione della Caritas, hanno intrapreso una nuova vita. Per loro il posto c'è. Come trenta anni fa quando proprio don Carmine e Roger venivano come volontari in questa parrocchia dove un sacerdote che non taceva, e operava concretamente, aveva aperto le porte.

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