mercoledì 28 febbraio 2018
Dopo aver sparato alla moglie, l'uomo si era barricato in casa con le due figlie di 7 e 13 anni. Vani i tentativi di mediazione: ha ucciso le bambine e poi si è sparato.
Un momento della trattativa tra il carabiniere e le forze dell'ordine (Ansa)

Un momento della trattativa tra il carabiniere e le forze dell'ordine (Ansa)

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A Cisterna di Latina un carabiniere ha ucciso le due figlie e ha tentato di ammazzare la moglie. L'ennesima famiglia distrutta da un uomo che non accetta la separazione. Alle 5 del mattino di mercoledì Capasso si era presentato sotto l’appartamento dove la moglie viveva con le due figlie. Aveva aspettato in garage la donna (che stava per andare al lavoro allo stabilimento della Findus) e le aveva sparato tre colpi: alla mandibola, alla scapola e all’addome. Poi le aveva rubato le chiavi, era salito in casa, che si trova al secondo piano di una palazzina, e aveva sparato alle due bambine, di 7 e 13 anni. Una vicina di casa aveva visto il corpo ferito di Antonietta Gargiulo in garage e aveva avvisato i soccorsi e i carabinieri, che erano arrivati poco dopo. Per circa cinque ore Capasso aveva lasciato intendere che le figlie fossero ancora vive ai militari del Nucleo negoziatori del comando provinciale di Roma. Ma non c'è stato nulla da fare: le bambine erano state uccise e l'uomo si è suicidato. La donna, unica sopravvissuta, è ricoverata in gravi condizioni all'ospedale San Camillo.

Una tragedia annunciata, dicono gli amici. Alcuni punti sono ancora da chiarire: Antonietta Gargiulo, 39, aveva già subito almeno una aggressione dal marito, anche davanti alle figlie, secondo quanto ha raccontato il suo avvocato, Maria Belli. La donna ne aveva parlato con i superiori del marito, al comando di Velletri, ma Capasso aveva rifiutato ogni tentativo di mediazione da parte dei colleghi.


Secondo quanto si è appreso, quando chiese un alloggio in caserma perché in crisi con la moglie gli venne offerto dall'Arma, come da prassi, un sostegno psicologico per superare la separazione ma lui rifiutò sostenendo di avere già il supporto del suo psicologo.

Per questo fu obbligato a sottoporsi a una visita medica davanti a una commissione che gli diede 8 giorni di riposo e lo dichiarò
idoneo al servizio.

L'aspetto più inquietante è che l'uomo è rimasto in possesso della sua pistola d'ordinanza, con la quale ha compiuto la strage.

Dopo la prima aggressione, che si era consumata all'inizio di settembre, la moglie Antonietta Gargiulo aveva presentato un esposto (non una denuncia) in questura a Latina, e un altro ancora a gennaio, al Commissariato di polizia di Cisterna, dove anche l'uomo aveva presentato un esposto contro di lei. In entrambi i documenti, però, la donna non avrebbe mai fatto riferimenti specifici ad aggressioni subite ma avrebbe dato solo indicazioni generiche su determinati comportamenti del marito. Entrambe le segnalazioni sarebbero state vagliate senza che emergessero fatti penalmente rilevanti.

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È emerso anche che Luigi Capasso e Antonietta Gargiulo stavano frequentando un centro diocesano di aiuto alle famiglie a Cisterna di Latina. Un supporto psicologico che entrambi avevano intrapreso per problemi di coppia. Nonostante ciò avevano preso la strada della separazione giudiziale con addebito e l'udienza era fissata per il 29 marzo prossimo.

Il parroco: inutile la mediazione del Centro di aiuto alla famiglia

«Un gesto così non me lo spiego. Anche se ultimamente mi ero accorto che, tra le varie confidenze, qualcosa non quadrava. Ma queste difficoltà sembravano facilmente superabili. I due coniugi li ho così mandati in un centro diocesano di aiuto alle famiglie per superare il momento. Poi evidentemente qualcosa non ha funzionato». Così il parroco di San Valentino di Cisterna di Latina, don Livio Fabiani, un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, ha commentato la tragedia di Latina. La parrocchia ha organizzato una veglia di preghiera.

Qui il video dell'intervista a don Livio Fabiani.

Il vescovo Crociata: «Servono reti per le famiglie»

Sulla tragedia è intervenuto con forza anche il vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, monsignor Mariano Crociata, commentando quanto avvenuto a Cisterna di Latina dove un uomo ha sparato alla moglie e ucciso le due figlie per poi togliersi la vita. «Non si dovrà certo smettere di riflettere, comprendere e cercare di agire per prevenire simili atrocità prosegue Crociata - Ci sono senza dubbio cause molteplici accumulate nel tempo e tutti siamo, in vario modo, tirati in ballo e interpellati nelle nostre responsabilità». Il presule ricorda che «la comunità parrocchiale, a cominciare dai presbiteri, ha cercato di accompagnare e sostenere una famiglia ormai in grave difficoltà per l'insostenibilità ulteriore della relazione di coppia, coinvolgendo anche la figlia maggiore nell'Azione Cattolica. Ma non è bastato. Troppo complicato è il groviglio della psiche umana e delle relazioni difficili nelle relazioni di coppia e di famiglia».

Secondo Crociata, «due cose forse andranno pensate, col tempo. Due cose che hanno a che fare con l'educazione al senso della persona, degli affetti, delle relazioni, del rispetto, non ultimo al senso della fragilità e all'esperienza dei fallimenti umani, che non diventano mai più importanti delle persone e della vita». Innanzitutto, spiega il vescovo di Latina, «la delicatezza e le implicanze per sé e per gli altri della scelta del matrimonio impongono una educazione al discernimento della persona con la quale si vuole costruire il proprio progetto di vita comune. Ancora spropositato è lo spazio riservato in questo campo all'amore romantico rispetto all'amore come atto di scelta motivata e responsabile. È un compito a cui tutti, società civile e comunità ecclesiale, dobbiamo dedicarci con rinnovata drammatica consapevolezza».

E poi, sottolinea monsignor Crociata, «è indispensabile creare reti protettive attorno alla famiglia nucleare, spesso ridotta a monade persa in un mondo ostile, dentro la quale non si riesce più a distinguere tra ostilità esterna e ostilità interna, diventando preda di emozioni e stati d'animo senza più controllo ragionevole di sorta. Anche le nostre comunità, pur con il grande lavoro che fanno e che hanno fatto anche in questo caso, devono promuovere un senso più grande e intimo di solidarietà e di premura. E ci sono le condizioni per farlo».

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