venerdì 14 gennaio 2022
Ristoranti e alberghi in difficoltà, le grandi città sono prigioniere dell'Omicron: la sua diffusione e la paura del contagio riducono le uscite mentre salgono le assenze negli uffici e nelle scuole
Le grandi città sono finite in lockdown

Le grandi città sono finite in lockdown - Ansa

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La pandemia fiacca le città fino a mutarne il paesaggio. La rapida diffusione del virus attraverso la variante Omicron, con il numero di positivi che cresce ogni giorno, sta provocando disservizi, un preoccupante rallentamento delle attività economiche e un processo di “desertificazione” che ricorda il “lockdown” del marzo 2020, quando il Covid, nella sua fase più acuta, mise in ginocchio l’Italia. Anche la paura di contagiarsi induce i cittadini a limitare le uscite. Nelle metropoli il fenomeno appare più evidente. Poche persone in strada, turisti quasi zero, traffico “ai minimi storici”, alberghi che chiudono, bar, ristoranti e negozi semivuoti e a rischio “crac”.

I saldi di fine stagione saranno un flop e gli esercenti lanciano l’allarme. Il picco dei contagi dovrebbe essere raggiunto alla fine di gennaio, dicono gli esperti, e la speranza è che allo stallo di adesso, che sembra spingere le imprese sull’orlo del precipizio, segua una ripresa decisa, prima che sia troppo tardi. Un’onda che si può fermare solo coi vaccini.

A Milano è sparito il traffico​

A Milano strade deserte, negozi e ristoranti semivuoti. La metropoli rallenta la corsa. In piazza Duomo e via Dante poca gente in giro e lungo le tre circonvallazioni mezzi pubblici a capienza ridotta e traffico come d’agosto, anche nelle ore di punta.

Prigionieri di Omicron, i milanesi rimangono serrati in casa, in permesso per malattia o in smart working. Quarantena, autosorveglianza, ma anche paura di contagiarsi. Quasi un lockdown di fatto. Si esce solo per andare al lavoro (chi non è ancora incappato in una limitazione dovuta alla pandemia), in farmacia (ancora lunghe le file fuori dagli ingressi per i tamponi) o per fare la spesa, anche se gli scaffali dei supermercati presentano spesso dei buchi perché gli approvvigionamenti vanno a rilento. E ne risente anche il servizio di consegna a domicilio: Esselunga ha inviato ieri ai clienti una mail in cui si chiede scusa per i ritardi causati dallo «straordinario numero di richieste online».

Dal 1° gennaio ad oggi su bus, tram e metrò, secondo una stima di Atm, viaggia in media il 48% di passeggeri in meno rispetto a quelli dello stesso periodo del 2021. Vendite a picco per gli esercenti: c’era stata una brusca frenata da sant’Ambrogio, seguita da una “ripresina” sotto Natale e poi è arrivato quello che si annuncia come un vero e proprio tracollo delle attività. Tutta colpa della quarta ondata della pandemia, partita con Delta e nella quale, dal quattro gennaio, si è innestata la più diffusiva variante “sudafricana” che sta mietendo “positivi”, in stragrande maggioranza asintomatici, e moltiplicando rapidamente i contatti a rischio anche all’ombra della Madonnina nell’hinterland. La regione rischia di diventare “arancione”.

«Di clienti se ne vedono davvero pochi – commenta la cameriera di una caffetteria di corso Buenos Aires –, le tazzine che serviamo al bancone sono circa il 50% in meno di quelle che venivano consumate fino a una decina di giorni fa, avanti così e il titolare sarà costretto a chiudere e a licenziarci». Corso Buenos Aires, con i suoi 350 punti vendita distribuiti sui quasi due chilometri che separano Porta Venezia a piazzale Loreto, è una delle vie dello shopping più transitate al mondo con una media di centomila persone al giorno: da lunedì se ne vedono forse due terzi in meno – dicono i negozianti – e in ogni caso il colpo d’occhio lascia sconcertati. «A certe ore la via è quasi deserta, irriconoscibile» si lamenta la commessa di un negozio di pelletteria. E ci sono i saldi di fine stagione.... «Fino a Natale sentivamo suonare i clacson delle auto di passaggio dalle 10 alle 20 senza interruzioni, e il corso era sempre affollato, adesso c’è un silenzio che fa paura». In compenso, però, è meno difficile trovare un parcheggio.

«In tutta la regione, nella prima settimana di rientro dopo le festività, i consumi risultano in fortissimo calo in ogni settore, ma soprattutto nel commercio e nella ristorazione» afferma Carlo Massoletti, vicepresidente vicario di Confcommercio Lombardia. «Su tutto pesa una cappa di timore e incertezza, un fattore psicologico che certo non invoglia a riappropriarsi della normalità e non incentiva i consumi» osserva Massoletti. I locali sul Naviglio Grande e in Darsena sono deserti anche all’ora dell’aperitivo. Nella zona della Stazione Centrale il solito intenso via-vai è solo un ricordo. Poche le persone anche davanti alle fermate del tram in piazza Duca d’Aosta, generalmente affollate di viaggiatori arrivati in città col treno.

Problemi pure nelle scuole, con alunni e insegnanti costretti a rimanere a casa per accertata positività al Covid. Alla data del 10 gennaio erano 734 le educatrici e gli educatori assenti negli asili nido e nelle materne di Milano a causa del coronavirus, segnala il Comune. «Una situazione critica nell’orario ordinario» spiega la vicesindaca Anna Scavuzzo, dopo che per lo stesso motivo è già stato sospeso il post scuola. Uffici in affanno per mancanza di personale e nelle scuole crescono le classi costrette a ricorrere alla Dad. (Fulvio Fulvi)

E a Roma sono spariti i turisti​

Anche a gennaio Roma sa regalare giornate miti e assolate e in genere dehor e spazi esterni di bar e ristoranti sono pieni di clienti. L’ondata pandemica in corso, però, sembra aver scoraggiato turisti e cittadini, che evidentemente preferiscono rinunciare a un pranzo all’aperto pur di non contagiarsi.

Con i 14 gradi registrati ieri l’antico Caffè Castellino, noto bar a un passo da Piazza Venezia, di norma vedrebbe i tavolini esterni tutti occupati, eppure più della metà dei posti è libera. Stesso discorso per gli esercizi adiacenti, dove va anche peggio, e,girando l’angolo, in via del Corso le cose non cambiano. Tavolini vuoti anche in via Nazionale, tra il Palazzo delle Esposizioni e il teatro Eliseo (al momento in stand by causa Covid). Molti baristi sono fuori a fumare o a cercare di invogliare qualcuno a sedersi. «Ma il lavoro è poco, è inutile negarlo», dice il cassiere della Tazza d’oro, in via del Tritone, «la gente è spaventata e l’obbligo del Green pass anche per consumare al banco ha peggiorato le cose».

A soffrire non sono solo i bar e i ristoranti. Le storiche bancarelle di libri usati in via delle Terme di Diocleziano sono deserte. «Rispetto al periodo pre-Covid siamo al 70% in meno – si lamenta uno dei gestori –. Questo poi è un posto in cui la gente si ferma a cercare i libri, a toccare gli scaffali, a “spulciare” tra le bancarelle. Il virus ha praticamente azzerato tutto questo». «Non va affatto bene, siamo più o meno a metà delle presenze rispetto a due anni fa e i saldi non hanno aiutato», spiega la commessa di un negozio di abiti vicino piazza della Repubblica».

Per rendersi conto della situazione, basta guardare gli autobus. La linea 64, una tratta storica che collega la stazione Termini con San Pietro, in genere viene presa d’assalto e i passeggeri viaggiano ammassati. Ma in questi giorni quasi tutti trovano un posto in cui sedersi. Tre controllori confermano mentre attendono alla fermata di iniziare a lavorare: «In un giorno feriale non abbiamo mai visto i mezzi che viaggiano in centro così vuoti».

Per gli alberghi il discorso è simile. Il titolare di un hotel nei pressi del Quirinale lo ammette senza mezzi termini: «Per ora stiamo resistendo, ma non so quanto potremo andare avanti se le cose non cambiano». A certificare la crisi del settore ricettivo della Capitale è Federalberghi Roma: «È un cataclisma – ha fatto sapere nei giorni scorsi il presidente Giuseppe Roscioli –. Veniamo contattati giornalmente da nuove imprese che ci chiedono come effettuare le procedure di chiusura. Il turismo romano è ormai in cortocircuito e sono migliaia i lavoratori a rischio». Secondo l’associazione, la chiusura recente di alcuni grandi alberghi (tra i quali il Majestic e lo Sheraton che hanno già iniziato le pratiche per fermare l’attività), ha causato la perdita di lavoro per 300 famiglie, ma è solo la punta di un iceberg e altri 50mila lavoratori, avverte Roscioli, potrebbero essere a rischio. Finora a chiudere i battenti sono state 350 strutture ricettive su 1.280.

La situazione è tale che gli assessori capitolini Alessandro Onorato (Turismo) e Claudia Pratelli (Lavoro) hanno chiesto un incontro urgente con i ministri competenti per studiare una strategia di uscita dalla crisi. Tre le richieste avanzate dagli albergatori: il ripristino della cassa integrazione Covid (cessata a dicembre), la sospensione della seconda rata dell’Imu per gli esercenti proprietari e il credito di imposta per quelli in affitto.

Anche i dati di Confcommercio sono eloquenti. Nel 2021 ristorazione e alberghi registrano una perdita di consumi, rispettivamente del 27,3% e di quasi il 35%, i servizi culturali e ricreativi del 21,5%, mentre molti altri comparti subiscono cali a doppia cifra: i trasporti (-16%), l’abbigliamento e le calzature (-10,5%). Il completo ritorno ai livelli pre-pandemici, stima l’organizzazione, non avverrà prima del 2023. (Matteo Marcelli)

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