mercoledì 24 giugno 2020
Per la Corte costituzionale «285,66 euro mensili non sono sufficienti a soddisfare i i bisogni primari della vita»
Il Palazzo della Consulta

Il Palazzo della Consulta - Ansa

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La legge sulle pensioni d’invalidità «non assicura i mezzi necessari per vivere». I trattamenti che assicura, infatti, sono troppo bassi e, di fatto, anticostituzionali. La decisione, attesa da svariato tempo, ora è ufficiale. La Consulta lo ha sancito, affermando che «285,66 euro mensili, previsti dalla legge per le persone totalmente inabili al lavoro per effetto di gravi disabilità, non sono sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita»: con una somma simile è violato il «diritto al mantenimento e all’assistenza sociale» che la Costituzione, con l’articolo 38, garantisce agli inabili.

Il caso che ha dato origine alla decisione - la Corte costituzionale ha esaminato una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Torino - riguarda una persona affetta da tetraplegia spastica neonatale, incapace di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita e di comunicare con l’esterno. Nella sentenza si afferma che il cosiddetto «incremento al milione» (pari a 516,46 euro) da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2011, debba essere assicurato agli invalidi civili totali, di cui parla l’articolo 12, primo comma, della legge 118 del 1971, senza attendere il raggiungimento del 60esimo anno di età, attualmente previsto dalla legge. Conseguentemente, questo incremento rispetto alla somma oggi percepita (che in realtà, difformemente da quanto scrive la Corte, per questo 2020 è stata adeguata a 286,81 euro) dovrà d’ora in poi essere erogato a tutti gli invalidi civili totali che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro. I giudici della Corte d’appello avevano poi sollevato un’altra questione: non è corretto fare differenza fra la pensione d’invalidità e l’assegno sociale, che è di circa 460 euro mensili. Un principio che, stando alla pronuncia, è stato accolto dai giudici costituzionali.

La Corte costituzionale ha stabilito che la propria pronuncia non avrà effetto retroattivo e dovrà applicarsi soltanto per il futuro, ovvero per le prossime mensilità, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. È chiaro che l’aumento si avrà soltanto quando verrà promulgato il nuovo intervento legislativo, ora necessario, che dovrà regolare l’erogazione dei pagamenti. Resta ferma la possibilità per il Parlamento di rimodulare la disciplina delle misure assistenziali in vigore che riguardano gli invalidi civili totali, purché idonee a garantire loro l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione. Questa vicenda sarà anche una spinta in più a operare nuove scelte sul sistema pensionistico il prossimo anno. Quando dovranno essere prese decisioni definitive, fra le altre cose, su "Quota 100", Opzione donna, l’anticipo pensionistico sociale e altre materie.

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