mercoledì 7 novembre 2012
Raccolta firme di Confesercenti per regolamentarle. Liberalizzare gli orari non ha contrastato la crisi. Il monitoraggio realizzato da Regione Veneto e Unioncamere Veneto: per il 70% degli operatori della grande distribuzione l’aumento dei costi non sarà compensato da un aumento delle vendite.
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Perché la domenica è fatta per il riposo e per le famiglie. È questo l’obiettivo della raccolta di firme promossa da Confesercenti e Federstrade - con la condivisione della Cei - che vuole portare in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare. Obiettivo: abolire la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali, introdotta dal decreto Salva Italia, restituendo alle Regioni la potestà di disciplinare i calendari di apertura in base alle esigenze territoriali. «Questa liberalizzazione non ha portato benefici – dice il presidente di Confesercenti Marco Venturi – e anzi 80mila imprese sono destinate a chiudere con una perdita di più di 200mila posti di lavoro». Motivazioni economiche, dunque, ma anche sociali e umane animano un’iniziativa che vuole restituire dignità al lavoro e unità alle famiglie. E domenica 25 novembre la raccolta di firme si terrà anche sui sagrati delle parrocchie. Aderiscono Regioni importanti come Veneto, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna. La Provincia autonoma di Bolzano ha appena deliberato la chiusura di 35 domeniche su 52.La liberalizzazione degli orari non ha affatto contrastato gli effetti della crisi economica, spiega Marco Venturi. Dati alla mano, a fine 2012 i consumi delle famiglie saranno calati del 2,2%, il tasso di occupazione di un altro 1,8% arrivando al 10,2. Significativo il monitoraggio sulla liberalizzazione degli orari nei negozi realizzato da Regione Veneto e Unioncamere Veneto: per il 70% degli operatori della grande distribuzione l’aumento dei costi non sarà compensato da un aumento delle vendite. E dall’inizio del 2012 solo il 3,5% dei consumatori intervistati ha fatto sempre acquisti la domenica.Non regge nemmeno il confronto con l’Europa. In Germania, Francia, Spagna, Belgio, Olanda le saracinesche la domenica restano abbassate. Negli ultimi anni Confesercenti ha denunciato 100mila imprese in meno. A queste, prevede, ne andranno aggiunte altre 81mila che chiuderanno nei prossimi 5 anni, con la scomparsa di 202mila posti di lavoro. Nel dettaglio, secondo la proiezione, sparirebbero 16mila negozi di abbigliamento, più di 5mila di calzature, quasi 7mila di mobili ed elettrodomestici, 1.500 panetterie, oltre 2mila negozi di fiori.«Questo si traduce – spiega Venturi – in città sempre più vuote e meno sicure, minore servizio di vicinato, maggiori difficoltà per gli anziani. In una parola: desertificazione del territorio». Le domeniche aperte «non hanno incentivato i consumi, hanno favorito la grande distribuzione trasferendo verso di essa quote di mercato degli esercizi piccoli e medi e hanno messo in ginocchio un settore già fortemente minacciato dalla crisi». Insomma: «Con la scusa di assicurare maggiore concorrenza – aggiunge il presidente di Confesercenti – il governo si è appropriato di competenze regionali». L’obiettivo dell’iniziativa infatti «non è quello di vietare aperture festive e domenicali, ma di renderle compatibili con effettive esigenze di imprenditori e consumatori, ripristinando competenze, materia di orari, alle Regioni».

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