sabato 15 febbraio 2020
Sono 77 in diocesi di Milano e 400 in tutta la regione le persone che il decreto Sicurezza avrebbe fatto finire in strada. E che la Chiesa ha sostenuto nei percorsi verso l'autonomia e il lavoro
Un gruppo di migranti accolti a Milano dalla Caritas Ambrosiana

Un gruppo di migranti accolti a Milano dalla Caritas Ambrosiana - Fotogramma

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Sono 77 in diocesi di Milano e oltre 400 in tutta la Lombardia i migranti che il decreto Sicurezza ha escluso dal sistema pubblico di accoglienza e che le Caritas diocesane hanno deciso di continuare a ospitare nei propri centri, sostenendo – a proprie spese – il loro cammino verso l’integrazione e l’autonomia. Lo rende noto Caritas Ambrosiana facendo il punto sul «Fondo di solidarietà per gli esclusi dall’accoglienza», avviato nel marzo 2019 in diocesi di Milano che, in quasi un anno, grazie al contributo di cittadini e fondazioni benefiche, ha raccolto 560mila euro. Con queste risorse – e quelle stanziate in aggiunta da Caritas Ambrosiana – è stato possibile non abbandonare al loro destino quei 77 migranti, fra cui 29 minori, altrimenti destinati dal decreto Sicurezza a finire in strada.

Una storia di «disobbedienza civile» realizzata nella piena legalità, quella compiuta da Caritas Ambrosiana e dalle altre Caritas diocesane. Che ha visto la Chiesa e il terzo settore promuovere sicurezza, coesione sociale, bene comune. Al contrario della politica e delle istituzioni.

Tutto comincia col cosiddetto «decreto Salvini» dell’ottobre 2018, convertito in legge nel dicembre successivo, secondo il quale «i titolari di permesso per motivi umanitari e coloro che hanno ricevuto il nuovo permesso per protezione speciale non possono più essere accolti nel nuovo sistema di accoglienza ex Sprar», ricorda un comunicato di Caritas Ambrosiana. Il risultato? Le prefetture iniziano a chiedere agli enti gestori dei centri di allontanare i migranti che non hanno più titolo per rimanervi. La risposta delle Caritas? Chiedere alle cooperative che gestiscono il sistema d’accoglienza convenzionato con le prefetture di non eseguire gli allontanamenti richiesti e di proseguire, piuttosto, i percorsi di integrazione avviati, con copertura dei costi da parte delle Caritas stesse.

Così è accaduto in diocesi di Milano grazie (anche) al «Fondo per gli esclusi dall’accoglienza». Ne hanno beneficiato, come detto, 77 titolari di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Tutte persone, dunque, alle quali lo Stato aveva riconosciuto il diritto a restare in Italia, ma negando loro il diritto all’accoglienza nei centri convenzionati con le prefetture. «A un anno di distanza – tira le somme Caritas Ambrosiana – su 48 adulti rimasti nelle strutture 20 hanno già trovato un lavoro, alcuni in modo autonomo, altri al termine dei corsi di formazione e delle borse lavoro offerte loro all’interno del "Progetto per gli esclusi dall’accoglienza". Inoltre tutti i 14 migranti single ospiti e più della metà delle famiglie (14 su 24) si stanno preparando a lasciare i centri di accoglienza grazie a percorsi di autonomia ben avviati».

Ma questo è solo un capitolo dell’impegno della diocesi di Milano nell’accoglienza dei migranti. In convenzione con il pubblico ci sono le 268 persone accolte nei Cas – i Centri di accoglienza straordinaria gestiti da cinque cooperative in convenzione con le prefetture, all’interno di strutture di proprietà delle cooperative stesse, delle parrocchie e di privati – e le 526 persone accolte nel sistema Siproimi, ex Sprar – come il decreto Sicurezza ha ribattezzato i progetti d’accoglienza affidati ai Comuni, 24 in diocesi di Milano, gestiti da tre cooperative in piccoli alloggi di proprietà di parrocchie o di singoli cittadini.

C’è poi tutto il capitolo dell’accoglienza extra convenzioni, realizzata con fondi propri. Che non comprende solo il «Progetto esclusi dall’accoglienza», con i suoi 77 beneficiati, ma anche le 18 persone accolte con i corridoi umanitari – progetto coperto da fondi Cei dell’otto per mille con il contributo di Caritas Ambrosiana – e i 14 giovani fra i 18 e i 29 anni ospitati dai Comboniani a Venegono Superiore (Varese) nell’ambito del progetto «Accoglienza naufraghi», anche questo sostenuto da Cei e Caritas Ambrosiana.

Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana

Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana - foto Siciliani

Gualzetti: «I soldi spesi per l'integrazione? Sono un investimento»

«Se avessimo dato seguito alle disposizioni del decreto Sicurezza, queste persone sarebbero oggi molto più deboli, più esposte al ricatto di sfruttatori di ogni risma e probabilmente le avremmo viste in coda ai centri di ascolto delle parrocchie. Con il nostro piccolo gesto, abbiamo dato a loro un’opportunità. E oggi a conti fatti possiamo dire di aver avuto ragione». Così Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, commenta i dati del «Progetto per gli esclusi dall’accoglienza», che ha permesso a 77 migranti, esclusi dall’accoglienza a causa del decreto Sicurezza, di proseguire i progetti e i percorsi avviati verso l’integrazione e l’autonomia.

«Sommessamente crediamo che questa piccola storia possa aiutare a far capire più in generale che i soldi per l’integrazione dei migranti, se spesi bene, sono un investimento non un semplice costo», sottolinea Gualzetti. «Mi piacerebbe che fosse questo il livello del dibattito pubblico», aggiunge il direttore della Caritas, facendo riferimento alla circolare emanata dal Viminale nei giorni scorsi con la quale si ridefiniscono i compensi giornalieri per gli enti che si occupano di accoglienza.

«Non si può svilire la discussione ad una mera questione di quattrini: il punto sono i servizi che devono essere offerti, perché è da quelli che dipende l’efficacia dell’intervento. Se lo scopo è l’integrazione, non ci si può limitare a fornire un alloggio. Occorrono corsi di alfabetizzazione, corsi di formazione professionale agganciati al territorio, accompagnamento sociale. Come altri soggetti seri del terzo settore noi abbiamo sempre voluto mantenere questo livello di proposta. Al di sotto del quale non ha senso la nostra collaborazione. Per questa ragione – conclude Gualzetti – abbiamo già oggi rimodulato il nostro impegno, rivedendo la nostra partecipazione ai bandi pubblici e promuovendo un sistema privato di accoglienza. Valuteremo attentamente le novità introdotte dalla circolare per capire come procedere in futuro».

La realtà delle cose è che il decreto Sicurezza – come ha ribadito Caritas Ambrosiana col comunicato diffuso venerdì 14 febbraio – ha penalizzato fortemente l’accoglienza diffusa. Questo è, d’altronde, lo stile Caritas: no alle mega-strutture, ai grandi "contenitori" avulsi dal territorio e destinati a diventare ghetti di immigrati; sì a piccole realtà – come sono gli alloggi messi a disposizione dalle parrocchie – che sono come i nodi di una rete di ospitalità diffusa, che chiama le comunità locali ad affiancare – ad esempio con la generosa opera dei volontari – il cammino di integrazione degli immigrati. Ma sempre offrendo servizi e professionalità qualificati, orientati all’inserimento sociale, culturale, lavorativo degli ospiti. E per questo servono risorse. Che Caritas Ambrosiana ha messo in campo, anche appellandosi al concreto sostegno dei cittadini. Per chi volesse offrire il proprio contributo e saperne di più: www.caritasambrosiana.it.

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