mercoledì 8 febbraio 2023
Le mostre realizzate dai detenuti della casa di reclusione in collaborazione con l’Accademia di Brera. «Pensavo a uno scherzo, invece dipingere è stata una rivelazione»
Detenuti e docenti al lavoro nel Laboratorio di arti visive del carcere di Bollate

Detenuti e docenti al lavoro nel Laboratorio di arti visive del carcere di Bollate - Archivio

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Quando gli hanno proposto di dipingere in uno spazio dentro al carcere ha fatto un cenno di diniego con la mano e si è incamminato verso la sua cella: voleva solo allontanarsi da quell’idea che gli sembrava un specie di scherzo. «Pure di cattivo gusto», racconta Giacomo. «Dipingere che cosa? Per chi, poi?». Oggi – sei mesi, una mostra e migliaia di visitatori dopo – parla, scrive, soprattutto ragiona come un artista. E ringrazia di essere tornato indietro sui suoi passi.

È uno dei 12 detenuti della Seconda Casa di Reclusione di Bollate che hanno partecipato al progetto “Diciotto Stanze” iniziato nel marzo scorso. Diciotto stanze come le diciotto vetrine della Stazione di Porta Garibaldi che hanno ospitato i loro lavori sulla detenzione come condizione esistenziale. La mostra – che è stata presentata da Giorgio Leggieri, direttore dell’istituto, e da Luigi Pagano, già provveditore agli Istituti di pena –, si è conclusa il 31 gennaio, passando il “testimone” a un nuovo percorso che sta per iniziare. E per i ragazzi – italiani, marocchini, tunisini, albanesi, molti con pene detentive pesanti, anche di dieci anni – è tempo di bilanci, di sguardi lanciati lontano.

Il lavoro materico al Laboratorio di arti visive

Il lavoro materico al Laboratorio di arti visive - Archivio


«Mi avevano parlato del progetto – continua Giacomo – e subito ho immaginato tre tele e qualche pennello in una stanza piccola e buia, le pareti ingiallite, gli scatoloni impolverati in un angolo. Sbagliavo. La sala pittura è stata una scoperta: una specie di fortezza magica incastonata nel penitenziario. Un posto dove combattere malinconia e monotonia. Lì siamo stati liberi dalle gerarchie, dalle costrizioni, dalle finzioni. Sì, certo, ci sono le sbarre alle finestre, ma varcata la soglia nessuno ti stava più addosso. Per alcune ore il carcere sembrava fluttuare lontano. Anche se stava lì, un passo oltre la porta».

Lo studio sul linguaggio espressivo nella fotografia nella sala della pittura del carcere di Bollate

Lo studio sul linguaggio espressivo nella fotografia nella sala della pittura del carcere di Bollate - Archivio

Bollate è una struttura modello, ma la reclusione resta una delle esperienze più difficili, specialmente per chi ha poco più di vent’anni. Il laboratorio di arti visive è nel Quarto reparto di Trattamento avanzato, e funziona grazie alla collaborazione di docenti – Isabella Maj e Angelo Falmi –, ex docenti – Anna Garau, Annamaria Fazio, Paola Baldassini, Francesco Ceriani, Gennaro Marino, Camillo Russo, Andrea Cancellieri, Nadia Nespoli – e allievi del Liceo Artistico e dell’Accademia di Belle Arti di Brera. L’ateneo ha una Scuola di Terapeutica artistica che propone attività in corrispondenza con i luoghi di sofferenza: ospedali, cliniche e, appunto, i penitenziari. Sono 150 ore di lavoro, due volte alla settimana. Renato Galbusera, che a Brera è stato titolare della Cattedra di Pittura, e ora partecipa al Laboratorio di arti visive di Bollate, insegna nella struttura dal 2011. Negli anni lui, che espone in tutta Italia e all’estero, ha imparato ad aprire un canale di dialogo con questi giovani, spesso complicati, che la vita sta mettendo alla prova. Trasmettere il senso di una creazione artistica, stimolarli ad alzare gli occhi da una realtà che costringe a tenere lo sguardo basso, non è sempre facile. Insieme, ce l’hanno fatta. Nel percorso espositivo, utilizzando tutti i linguaggi espressivi (la pittura, la fotografia, la scultura) sono riusciti a raccontare la chiusura fisica o mentale. L’idea, ora, è quella di dare continuità al lavoro. Elton ha 30 anni, è albanese. «La mia esperienza da artista è iniziata l’anno scorso dipingendo il corridoio che porta alla sala musica. Non mi sono più fermato». Dopo il corridoio sono arrivate le Diciotto stanze. «Adesso abbiamo iniziato il nuovo progetto: “Quattro mani”. Si tratta di una collaborazione stretta, sulla medesima opera, dal concepimento all’ esecuzione, tra docenti e detenuti». L’obiettivo è una presentazione il prossimo giugno nello spazio espositivo della Libreria Claudiana a Milano. Le “quattro mura” del carcere, si estenderanno, questa volta, fino a lì.

Docenti e detenuti al lavoro nella sala di pittura

Docenti e detenuti al lavoro nella sala di pittura - Archivio


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