sabato 1 giugno 2019
L’esperto Giovanni Serpelloni: «Ma i giudici hanno ascoltato la scienza»
«Cannabis, vi spiego perché la sentenza tutela i ragazzi»
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«Una pietra tombale posata con buon senso, chiaramente suffragata da valutazioni di tipo scientifico. E che da oggi mette più al sicuro i nostri ragazzi». La sentenza della Cassazione sulla cannabis light, che ha gettato improvvisamente nel caos il mondo delle migliaia di produttori e commercianti impiegati nel settore della canapa, è la buona notizia che il professor Giovanni Serpelloni attendeva da mesi. Già capo del Dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio (dal 2008 al 2014), oggi diviso tra l’impegno come senior fellow del Drug policies institute all’Università della Florida e direttore del Dipartimento delle dipendenze di Verona, Serpelloni è anche l’unico scienziato ad aver effettuato delle ricerche sulla cannabis light.

Professore, cominciamo da qui. Nel dibattito acceso sulla cannabis light lei è sempre stato l’unico a snocciolare dei dati...
Il primo, fondamentale in queste ore in cui qualcuno sta già dando interpretazioni errate e chiaramente parziali della sentenza della Cassazione, è quello sul cosiddetto “effetto drogante” della cannabis light. Si parla sempre di “percentuale” di Thc necessario a rendere la cannabis drogante, riferendosi alla famosa soglia dello 0,5% che sarebbe rispettato da quella leggera. In realtà dal punto di vista medico si ragiona invece in termini di peso, cioè di grammatura: la dose di Thc in grado di creare effetti psicoattivi, cioè stupefacenti, oscilla tra i 4 e i 5 milligrammi. Ebbene, se compro 15 grammi di infiorescenze in un cannabis shop (e io l’ho fatto, insieme al mio gruppo di lavoro, analizzando il contenuto da 3 diversi Istituti universitari di medicina legale: Verona, Parma e Ferrara), troverò che ad essi corrispondono 15 milligrammi di principio attivo, quindi tre volte la dose drogante.

Cosa vuol dire?
Semplicemente, che la cannabis light è una droga. D’altronde se si fuma abitualmente la cannabis light e si incappa in un test della polizia stradale, si risulta positivi. Questo non lo dice nessuno, però, nei cannabis shop. Niente da stupirsi, visto che la maggior parte dei prodotti che vengono venduti sugli scaffali recano la scritta “non ad uso umano”. E invece vengono fumati, inalati, ingeriti.


Che tipo di controllo sanitario esiste, su questi prodotti?
Nessuno. E anche su questo si è sentito dire troppo poco, o forse niente. I prodotti a base di cannabis light, compresi quegli olii che vengono esplicitamente vietati dalla sentenza della Cassazione e che contengono Cbd (cioè Cannabidiolo), sono a tutti gli effetti sostanze farmacologicamente attive. Hanno effetti farmacologici su chi le assume, nel caso del Cbd per esempio in America lo si usa per curare l’epilessia nei bambini. Ebbene, nessuno di questi prodotti è passato al vaglio di controlli farmaceutici, nessuno ha ricevuto l’autorizzazione dell’Aifa, non c’è alcuna regolamentazione nella loro produzione e nella loro vendita.

Un pasticcio in qualche modo avallato dalla legge 242?
Nient’affatto. La legge regolamenta semplicemente il settore della coltivazione e della trasformazione della canapa a livello industriale, in cui l’Italia è leader da sempre in particolare nel settore del tessile. Si è voluto piuttosto forzare la normativa, dal mio punto di vista, preparando il terreno culturale e commerciale in vista dell’auspicata legalizzazione da parte di varie organizzazioni e lobbies commerciali della cannabis in Italia. Punto su cui – non è un caso – quasi tutti i produttori di cannabis light fanno pressioni sulle istituzioni. Basta dare un’occhiata online.

E questo inganno culturale, secondo lei, c’è stato?
Assolutamente sì, soprattutto a danno degli adolescenti. Che – anche questo lo abbiamo dimostrato con una ricerca, condotta insieme a San Patrignano – in quasi la metà dei casi pensa che la cannabis light vada fumata e curi le malattie. E in 3 casi su 10, addirittura, pensa che anche la cannabis potenziata sia stata legalizzata. Dati dirompenti, se si considera che i principali consumatori di cannabis in Italia, e non solo, sono proprio gli adolescenti. Se tu normalizzi l’uso della cannabis, se ti spingi addirittura a pubblicizzarla (e anche questo è un reato) con tanto di foglie e slogan ambigui, se tutto il tuo marketing ruota attorno allo spinello (cartine, pipette...), che effetto ottieni su questa categoria già a rischio?

La sentenza della Cassazione sistema le cose?
È una pietra tombale su questa deriva. E mette più al sicuro i nostri ragazzi.

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