sabato 15 luglio 2017
La denuncia di Roberto Pennisi della Procura nazionale antimafia. «Interessi mafiosi e economici. Si brucia per coprire altri reati. Boschi in fiamme per mettterci altre cose»
«Autocombustione? Non esiste. Dietro solo interessi criminali»
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«Si bruciano i boschi per mettere poi altre cose... Dietro ci sono interessi della criminalità mafiosa e di quella economica». Ne è certo il consigliere Roberto Pennisi, che coordina il gruppo di lavoro della Procura nazionale antimafia sui crimini ambientali. Il magistrato fa l’esempio del Vesuvio e concorda con quanto detto ad Avvenire dal presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, sulla mafia che con gli incendi reagisce alle regole più severe. «Sul Vesuvio – spiega – si appicca il fuoco alla boscaglia perché vada poi a finire dove ci sono i rifiuti».

Per coprire altri reati?
Evidentemente. Come quando si incendiano direttamente gli impianti di trattamento dei rifiuti.

Dietro gli incendi dei boschi ci sono quindi interessi criminali?
L’autocombustione non esiste. Ci sono gli incendi determinati da piccoli interessi criminali, dei soggetti che bruciano per favorire i pascoli, convinti che dove si brucia poi l’erba cresca bella, alta e saporita. E poi ci sono gli incendi collegati a grossi interessi della criminalità organizzata di tipo mafioso o della criminalità economica che in alcuni casi coincidono e in altri no.

Come per i traffici di rifiuti?
Esattamente. Togliere il verde per mettere altre cose. È un fatto storico che è all’origine degli incendi connessi agli interessi della criminalità economica. Anche se poi la normativa sugli incendi dovrebbe far venir meno la possibilità che ciò possa verificarsi visto che non si può, ad esempio, edificare per 10 anni laddove è passato il fuoco. Però tutto può cambiare...

In che senso?
Si spera che la norma sia alleggerita o che cambino piani o programmi.

Il presidente del Parco dei Nebrodi parla di una reazione della mafia alle regole che hanno bloccato gli affari sui contributi europei sui pascoli.
È una valutazione che condivido.

E l’affare dei rimboschimenti?
C’è un’altra matrice storica degli incendi, quelli appiccati per poi determinare l’intervento degli operai forestali. E non perché una cosa affonda le radici nel tempo non può essere attuale, anzi quando le radici sono profonde l’albero prima o poi viene fuori. E questo è un albero molto forte.

Chi c’è dietro? Le mafie?
Eccome! Basta guardare alla Calabria, dove il legame aziende forestali e ’ndrangheta è storico e ancora attuale.

Lei parla di un fenomeno storico.
È interesse della mafia moderna, quella avanzata, mantenere in vita forme arcaiche di mafia perché l’azione di contrasto si rivolga a quella arcaica e lasci indisturbata quella moderna.

Una forma di depistaggio?
Sì, è una forma di depistaggio che sta bene con la sofisticatezza delle crimine mafioso moderno, quello della mafia degli affari, in cui gli interessi della criminalità mafiosa e quelli della criminalità economica e finanziaria si fondono e si confondono e ogni potere ritiene opportuno legarsi con l’altro per sfruttarne caratteristiche e potenzialità.

Il fuoco quindi cela anche altro?
Il fuoco può servire a tante cose, può risolvere tanti problemi, soprattutto quando ci sono cose irregolari che a un certo punto prendono fuoco. Come per gli impianti per i rifiuti.

Dove?
Nel Nord alcuni ambienti economico-finanziari che si occupano di rifiuti sono in fibrillazione per gli esiti di un’indagine della procura di Brescia che è nata proprio dall’incendio in uno stabilimento di trattamento di rifiuti. E che ha smascherato interessi criminali.

Una criminalità ambientale non per forza collegata alle mafie.
Oggi la criminalità ambientale non ha bisogno, se non in alcune occasioni, della criminalità mafiosa. Sono anni che cerchiamo di farlo comprendere.

Ora però con gli ecoreati avete strumenti importanti per contrastarli.
Certo, sono strumenti importanti che vanno utilizzati.

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