venerdì 4 dicembre 2020
Turismo azzerato, la città in crisi. «Su di noi si è abbattuta la tempesta perfetta», sintetizza la sindaca, Stefania Proietti
Assisi è rimasta senza pellegrini. «Il governo ci aiuti o scompariremo»

Altri due mesi, forse tre. Poi il botto e, non bastasse, altri rischi dietro l’angolo. Anche i commercianti di Assisi hanno l’acqua alla gola. Molti nemmeno più aprono, serve a nulla. «Su Assisi si è abbattuta la tempesta perfetta», sintetizza la sindaca, Stefania Proietti. E lo si capisce coi numeri: le presenze straniere nella città di san Francesco quest’anno sono diminuite del 91%, quelle italiane del 74%. Come se ne esce? «Ci sono solo due vie. Realmente avere qualche euro da parte dello Stato – spiega Sebastiano Vincenzo Di Santi, presidente Confcommercio Assisi – e soprattutto un “anno fiscale bianco”. Non si può pretendere che si paghino le tasse senza averne le risorse. E già adesso sappiamo che tante nostre attività non riapriranno».

Assisi «è una città fantasma», continua Di Santi: «Eppure ogni venerdì scegliamo una piazza e facciamo una protesta civile, autorizzata, rispettando le regole e i distanziamenti. Il nostro hashtag è #noidimenticati». Accendono quella piazza con tanti lumini, che «simboleggiano le nostre speranze, ridotte al lumicino. Augurandoci non si spengano. E sottolineando che vogliamo riaprire con ogni criterio di sicurezza».

Davvero la città è surreale. Vuota. Serrande abbassate, vento leggero, solo il rumore dei propri passi. Nel 2019 Assisi ha accolto oltre 5 milioni di pellegrini, quest’anno si stima non supereranno 1 milione e 200mila (soprattutto concentratisi ad agosto). E se nell’intero 2019 hanno raggiunto Assisi 20mila pullman, quest’anno sono stati 1.600 (dei quali 1.200 a gennaio e febbraio, cioè prima della pandemia).

A proposito, il Comune forniva servizi superiori alla media grazie agli introiti da tasse di soggiorno e parcheggi, adesso si ritrova con 3 milioni e 200mila euro in meno e problemi enormi. Sempre la sindaca è sintetica ed efficace: «Sono ormai a rischio 1.500 attività, e quindi 2mila posti di lavoro, oltre allo stesso bilancio comunale».

Inspiegabilmente tagliata dai ristori decisi ad esempio in agosto per le città d’arte, per Assisi è diventato vitale avere almeno quelli per le "città santuario", che il governo potrebbe decidere.

Michela Cuppoloni ha una delle 326 attività commerciali destinate alla filiera turistica che sono nel borgo e a due passi dalla Basilica. Mostra gli scontrini, l’ultimo è datato 1 novembre, «poi non ho più aperto».

Appunto. «Il colpo di grazia è stato l’ordinanza regionale che ci ha chiuso la domenica». Michela ha 50 anni, sopravvive con la pensione della madre, il negozio lo aprirono nel 1947 i suoi nonni e «ho resistito finora perché non pago l’affitto». C’è invece chi deve pagarlo, come Stefano Leoni, anche lui un trentennale negozio di souvenir: «La mia alternativa è che non ne ho. Se ce la farò, sarà perché potrò spostare in avanti i miei debiti, sperando, se e quando ci sarà, in una ripresa».

La crisi preoccupa anche in diocesi. «Dopo una prima fase molto grave, questa rischia d’essere il colpo di grazia», spiega Domenico Sorrentino, arcivescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino: «Serve buon senso dai politici nella gestione delle necessarie misure, serve che chi governa sappia veder bene e accompagnare la ripresa. La struttura economica assisana è questa, senza dimenticare che la nostra città è volano per tutta la regione». Mette infatti insieme un quarto dei turisti in Umbria.

Ci sono poi quegli altri rischi. Appena due anni fa l’allora Procuratore di Perugia, Luigi De Ficchy, proprio ad Assisi diceva che «questa terra non è un’isola felice, ci sono infiltrazioni mafiose». E nella sua ultima relazione semestrale, la Dia annota che in Umbria «non sono radicate forme di criminalità organizzata strutturate, ma già da tempo si sono registrate presenze insidiose sul territorio».

Ecco, c’è paura che il botto economico (e conseguentemente sociale) ingolosisca le mafie. Ancora monsignor Sorrentino: «La mia preoccupazione è generica, ma sappiamo che anche nella nostra zona certi interessi ci sono stati e che una città economicamente fragile sarebbe più a rischio». Il presidente Di Santi mette in guardia: «Stiamo denunciandola, questa possibilità, che se ora non sembra concreta, non è certo troppo lontana o remota».

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