Il fondatore del Sermig Ernesto Olivero - Ufficio stampa Sermig
Non si ferma il grido "no alla guerra, si alla pace" contro il conflitto e la fornitura di armi in Ucraina. Dopo l’appello al Parlamento dell’iniziativa pacifista “Pace proibita" promossa da un gruppo di giornalisti e intellettuali l’ultimo, in ordine cronologico arriva da Torino, dall’Arsenale della Pace. Nel frattempo però si muove anche la macchina del Mean-Movimento Europeo di Azione Nonviolenta che vuol portare in Ucraina a manifestare contro la guerra la società civile. Una mobilitazione di massa di migliaia di cittadini civili dell’Unione europea. La data è quella del 12 luglio, patron d’Europa. Un’altra azione di pace sul territorio, quindi, dopo Stop the war now, la spedizione umanitaria organizzata dalla Papa Giovanni: una carovana con più di 70 pulmini che ha portato aiuti e salvato persone in fuga dalla guerra tra il 1° e il 3 aprile scorsi. La stessa organizzazione che lo scorso 11 maggio ha portato in Italia 63 bambini orfani degli istituti di Mariupol e Kramatorsk. I piccoli, accompagnati da tutori, si trovano ora in Sicilia, accolti da quattro strutture.
Umanità e solidarietà. Giustizia e difesa dei diritti. Dignità per tutti. Onestà e bene comune. Assoluta certezza che "la guerra non è mai la soluzione!". La lettera-appello che Ernesto Olivero ha diffuso ieri dall’Arsenale della Pace di Torino, è la risposta a tutto quello che il conflitto Russia-Ucraina ha provocato. Una risposta senz’armi, eppure fortissima. E piena di significati. A partire dal giorno in cui è stata resa nota al mondo. Il 24 maggio è la festa di Maria Ausiliatrice e quasi sessant’anni fa in questo stesso giorno è stato fondato il Sermig, il 24 maggio di 82 anni fa è invece nato Ernesto Olivero. Ma il 24 maggio di 107 anni fa l’Italia è entrata nel primo conflitto mondiale. Un coacervo di ricorrenze che cadono tutte nello stesso giorno e che rendono speciale il messaggio che Olivero ha firmato insieme ai componenti della Fraternità del Sermig.
La lettera inizia con un’affermazione solo in apparenza banale: «Qualcuno deve continuare a ricordare al mondo le ragioni della pace». Perché troppi, in questo mondo, forse hanno dimenticato la solidità di queste ragioni. L’appello nasce prima di tutto «dalla vita vera del primo arsenale militare al mondo trasformato in Arsenale della Pace». Che Olivero riporta a quanto accaduto nelle prime settimane di marzo 2022 quando «l’Arsenale della Pace è stato “invaso” da un impressionante fiume di bene e generosità». Quando indignazione e incredulità «hanno scosso le coscienze, generando una meravigliosa reazione di solidarietà in risposta alla violenza di una sciagurata guerra». Si è trattato di mani tese e disarmate che «riconciliano con il senso di umanità, salvano l’anima al mondo. Oltre trecentomila persone hanno portato finora più di millecinquecento tonnellate di aiuti».
Ma cosa dice tutto questo? Per Olivero il messaggio è chiaro. «Questi gesti “dal basso” esprimono uno straordinario desiderio di pace che diventa anche un messaggio importante per i grandi della Terra». Olivero quindi ricorda «la pace che ci ha fatto conoscere Giorgio La Pira citando il profeta Isaia: un tempo in cui le armi saranno trasformate in strumenti di lavoro e i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra». È il sogno del Sermig.
Le lettera-appello quindi continua. Dopo aver ricordato perché «le armi uccidono sette volte», oltre a citare gli effetti delle guerre sui giovani, la conclusione che arriva dal Sermig è una sola: «Non ci abitueremo mai alla guerra e continueremo a lottare per contrastarla, continueremo a lavorare per la pace e a ricercarla con tutte le nostre forze».
Olivero non ha dubbi: «La pace vera – scrive –, è un fatto che deriva dalle opere di giustizia. È un mondo che accoglie ogni uomo e donna di qualsiasi origine e religione perché tutti hanno diritto a cibo, casa, lavoro, cure, dignità, istruzione. È un mondo in cui giovani e adulti sono pronti a fare della propria onestà la chiave per costruire il bene comune. È il comprendere che il bene che posso fare io non lo può fare nessun altro, perché è la parte di bene che tocca a me, è la mia responsabilità».
Occorre però agire. «La nostra coscienza ci spinge a bussare alla porta delle organizzazioni internazionali nate dall’aspirazione alla pace dei popoli affinché garantiscano sempre più concretamente e senza riserve la dignità e i diritti fondamentali di ogni persona, rispettino e tutelino le minoranze e promuovano l’uguaglianza, bandiscano l’uso delle armi, abbiano l’autorità e il riconoscimento morale di fermare le guerre e di rimediare alle ingiustizie attraverso la diplomazia e dove necessario mediante missioni di pace». E chi ha reso possibile l’Arsenale della pace conclude parlando di speranza. Una speranza «che nasce anche di fronte alla tragedia più nera, la speranza che di fronte a persone in difficoltà ci porta a dire sempre: Fratello, sorella cosa posso fare per te?».