martedì 4 febbraio 2025
Un documento degli esperti che rispondono al Consiglio di sicurezza, precedente all'arresto su mandato della Corte penale dell'Aja e al rilascio in Italia, descrive gli affari del generale libico
Il generale Almasri accolto a Tripoli mentre sbarca da un volo di Stato italiano

Il generale Almasri accolto a Tripoli mentre sbarca da un volo di Stato italiano - .

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È il 13 dicembre 2024 quando gli investigatori Onu consegnano al Consiglio di sicurezza il nuovo report annuale sulla Libia. Il caso Almasri, con il controverso viaggio in Europa e l’arresto in Italia su mandato della Corte penale dell'Aja concluso con l’accompagnamento di Stato a Tripoli, non è neanche in preventivo. Ma il generale libico per la seconda volta dal 2023 è uno dei protagonisti dell’investigazione internazionale.

Per il Panel of experts, che ancora una volta dal Consiglio di sicurezza Onu non hanno visto muovere alcun rilievo al loro lavoro, i crimini di Almasri hanno «seguito un modello coerente di privazione illegale della libertà, sparizione forzata, tortura e altri maltrattamenti e negazione dei diritti». Non è che la sintesi della serie di prove raccolte direttamente dagli investigatori delle Nazioni Unite.

Nel mirino c’è soprattutto la rete del nuovo apparato di Sicurezza libico denominato “Dacot”, che sta per “Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism”, in cooperazione con Isa, il servizio segreto interno.

A seguire il calendario viene da dire che la Corte penale internazionale, e non il contrario, ha confermato con proprie autonome indagini le accuse del Panel of expert. Non è un caso che nel mandato di cattura per Almasri, i giudici dell’Aja avessero indicato tra le fonti delle proprie inchieste il lavoro degli esperti Onu incaricati dal Consiglio di sicurezza. Solo il giorno dopo, il 14 dicembre, il procuratore internazionale Kharim Khan preannunciava l’emissione di nuovi mandati di cattura. I nomi sono stati coperti dal segreto investigativo. Ma ora sappiamo che uno di loro è proprio il generale Najim (Almasri)

Così lo presentano gli ispettori delle Nazioni Unite. «Tra i comandanti dell'Apparato coinvolti, il Gruppo di esperti ha identificato Osama Najim (Almasri, ndr) come responsabile dell'amministrazione e della facilitazione dell'arresto illegale e del maltrattamento dei detenuti nella struttura di detenzione di Mitiga».

Il Gruppo di esperti ha esaminato le numerose testimonianze e prove documentali a proposito del carcere di Mitiga, a Tripoli, raccolte a partire dal giugno 2021. Oltre alle vittime sono state ascoltate «persone che hanno assistito alle violazioni commesse in quella struttura». Non viene precisato chi siano questi testimoni, dovendone tutelare l’incolumità. «Tra questi, cinque ex detenuti e tre testimoni oculari hanno identificato Osama Najim come responsabile diretto di aver ordinato e commesso personalmente atti di tortura e altre forme di maltrattamento come parte di una politica organizzativa di gestione della struttura di detenzione di Mitiga». Il Gruppo di esperti ha corroborato queste testimonianze «con prove documentali indipendenti, tra cui rapporti medici, decisioni giudiziarie ufficiali e documentazione interna del Dacot, nonché con fonti terze affidabili che hanno tutte confermato sia la natura sistematica delle violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale umanitario, sia la responsabilità del personale del Dacot per tali violazioni».

Nelle 299 pagine di relazione, cui sono allegati centinaia di documenti, foto, filmati, registrazioni, è ricostruita l’intera filiare del traffico di esseri umani, che vede in particolare 17 boss libici, tutti con una divisa da militare o la grisaglia di funzionario pubblico.

Almasri è il sistema di cui fa parte, è un ingranaggio tra i più robusti. Perché ai detenuti, specialmente ai subsahariani, viene offerta una chance per sopravvivere alle torture: arruolarsi nella milizia e combattere per conto dei libici. E questo, spiegano gli ispettori, perché la milizia di Almasri è screditata presso la popolazione libica, specialmente quella di Tripoli, dove a causa delle malefatte della “cupola” fatta di generali e politici, chi può si sottrae all’arruolamento.

Dalla lettura si apprendono particolari abietti, Non solo i prigionieri vengono “picchiati e presi a calci per ore durante i giorni di detenzione”, non solo “minacciati di morte”, ma “esposti a continue brutalità perpetrate sui compagni di cella” dai detenuti stessi e alla presenza dei loro familiari.

Sull'edizione di domani di "Avvenire" i nuovi dettagli dell'inchiesta i legami internazionali del "Sistema Libia", tra migranti, traffico di armi, petrolio, e il silenzio dei Paesi ricattati da Tripoli.

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