giovedì 21 aprile 2016
Inoltre 7 misure interdittive. Il tutto a Reggio Calabria: medici e operatori avrebbero falsificato i referti per coprire le gravi negligenze professionali. Tra le accuse aborto senza consenso e lesioni gravissime a neonati.
Due neonati morti per errori medici, 4 arresti
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Quattro medici agli arresti domiciliari, altri sei ed un’ostetrica sospesi dalla professione per un anno. Sono vicende terribili quelle che emergono dall’operazione "Mala Sanitas", avviata su una serie di denunce per la morte di due neonati e condotta a carico dei sanitari del reparto di Ginecologia e ostetricia gli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, il principale nosocomio della città sullo Stretto. Dove, all’insaputa della direzione sanitaria, è successo l’indicibile: decessi di neonati, malformazioni gravissime procurate per colpa e imperizia a puerpere e nascituri, donne raggirate per abortire senza consenso. Una quadro probatorio «che richiama alla mente la clinica di Mengele» commentano gli investigatori, «una situazione indegna di un Paese civile» secondo il procuratore che ha condotto l’inchiesta, Federico Cafiero de Raho. I fatti, tutti risalenti al 2010, sono stati “archiviati” grazie a un sistema di collusioni e coperture incrociate: omissis, documenti falsi allegati alle cartelle cliniche, addirittura sbianchettature. Secondo gli inquirenti, in barba al giuramento di Ippocrate, la principale preoccupazione degli indagati anziché salvaguardare la vita umana era proprio quella di occultare errori e responsabilità. Come nel caso di un neonato, partorito da una donna alla 33esima settimana di gravidanza, che per problemi respiratori è stato trasferito al reparto di neonatologia: qui avrebbe dovuto essere intubato immediatamente, come risulta dalla cartella clinica che sia stato fatto. In realtà invece il piccolo è stato intubato dopo 50 minuti perché il medico non riusciva a farlo. E il tubo, anziché nelle vie respiratorie, era finito in quelle digerenti. Oggi quel bambino ha 5 anni ed è in stato vegetativo per danni celebrali permanenti.In un altro caso, invece, una donna alla 17a settimana di gravidanza si è affidata al fratello medico. Si tratta di Alessandro Tripodi, 47 anni, attuale primario responsabile dell’Unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia, da ieri agli arresti domiciliari e accusato di interruzione della gravidanza senza il consenso della donna, di falsità ideologica e materiale commesse dal pubblico ufficiale in atti pubblici e di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri. Tripodi, sospettando che il bambino fosse affetto da una patologia cromosomica, aveva sconsigliato la sorella dal portare avanti la gravidanza ma sia la donna che il marito si erano detti determinati a tentare tutto pur di avere il figlio. Il primario, allora, ha deciso per la sorella avvalendosi della collaborazione di due colleghi: a uno ha chiesto di sostituire l’etichetta della flebo da somministrare alla sorella per ingenerare contrazioni, all’altro di somministrarle un medicinale per dilatare l’utero, ottenendo di fatto all’insaputa della donna un aborto che sulla cartella clinica è stato indicato come “spontaneo”.Proprio da Tripodi, tra l’altro, ha preso piede l’inchiesta: il medico è rientrato, per via della parentela con Giorgio De Stefano – cugino dei capi storici dell’omonima cosca – all’interno dei tabulati telefonici intercettati per un’altra indagine sulla ’ndrangheta. Il primario, che agli atti risulta totalmente estraneo a quelle contestazioni, è stato però pizzicato nel confidare il “sistema” di copertura degli illeciti perpetuati all’interno delle mura dell’ospedale reggino. Di lì la ricostruzione dei fatti, agghiaccianti. Con le telefonate in cui i medici commentavano l’aspetto dei feti abortiti, le reazioni dei pazienti ignari, gli errori drammatici compiuti in corsia.«Si tratta di una situazione veramente scandalosa» ha commentato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, spostando l’attenzione sulla mancanza di denunce da parte dalla direzione sanitaria: «Dobbiamo capire cosa è accaduto non solo dal punto di vista sanitario ma anche organizzativo all’interno dell’ospedale» ha detto il ministro. Che ha poi ricordato come sulla Calabria «si sta lavorando moltissimo, ed un caso è proprio l’ospedale di Reggio Calabria, dove ora ci sono primari che vengono da fuori regione con concorso». Agli arresti domiciliari, oltre a Tripodi, è finito anche l’ex primario Pasquale Vadalà, 68 anni, già responsabile dell’Unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia. E poi Daniela Manuzio, 50 anni, dirigente medico di primo livello della stessa unità, e Filippo Luigi Saccà, 62 anni, anche lui dirigente medico nonché responsabile della struttura semplice Diagnosi e terapia prenatale. Sono invece indagati a piedi libero, seppur sospesi dalla professione, la neonatologa Mariella Maio, l’ostetrica Giuseppina Gangemi, i due anestesisti Annibale Musitano e Gigi Grasso, più i ginecologi Francesca Stiriti, Salvatore Timpano, Antonella Musella. Gli inquirenti parlano della loro «assoluta freddezza e indifferenza verso il bene della vita». Lì dove quel bene avrebbe dovuto abitare.
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