Nella Sacrestia Capitolare, dove rivive la storia del Duomo di Milano
In via di completamento il restauro di questo spazio, il più antico della cattedrale: due anni di lavori che hanno visto all'opera decine di tecnici

Quella che si potrà ammirare dal prossimo sabato in Duomo sarà un’autentica sorpresa per i milanesi. E non solo per loro: anche gli addetti ai lavori della Veneranda Fabbrica sono rimasti stupiti durante il restauro della Sacrestia Capitolare. «Non pensavamo fosse così bella» ha esordito monsignor Gianantonio Borgonovo, arciprete della cattedrale, presentando i risultati dei lavori di questo spazio. Il delicato marmo di Candoglia è tornato come nuovo, una volta liberato dallo spesso strato di sporcizia e fumo (dovuto alla presenza dei bracieri e delle candele) che aveva annerito pareti e decorazioni.
Si tratta dell’ambiente gemello della Sacrestia nord o Aquilonare, anch’essa oggetto di restauro e riaperta nel 2021. È stato allora che la Veneranda Fabbrica del Duomo ha deciso di avviare un cantiere analogo nella sacrestia meridionale: un lavoro che si è rivelato più complesso del previsto e che ha visto all’opera tre ditte per una decina di tecnici, tra operai e restauratori, che si sono alternati in due anni di lavoro in 300 metri quadrati di spazio. Non è ancora tutto concluso: i lavori termineranno per la fine del 2026, quando saranno tolti tutti i ponteggi e sarà restaurato anche il monumentale armadio in legno disegnato da Pellegrino Tibaldi - l’architetto che nella seconda metà del 1500 progettò il ciborio e lo Scurolo di San Carlo - per ospitare i paramenti e le reliquie. Intanto, a partire da questo sabato e per tutti i sabati del mese fino al 29 novembre, alle ore 15, sarà possibile visitare la Sacrestia Capitolare accompagnati dai restauratori (le visite sono prenotabili tramite il sito ufficiale duomomilano.it alla sezione “visite guidate”). Non solo: la Veneranda Fabbrica, in vista del Natale, realizzerà uno speciale podcast dedicato in più episodi, all’interno della rubrica “Il Duomo racconta”, dove sarà possibile ascoltare la storia dalle voci degli studiosi e dei restauratori: il podcast sarà poi disponibile sulla piattaforma Spotify del Duomo.
Questa sala - che come la sacrestia speculare si sviluppa verticalmente per una trentina di metri; un’altezza considerevole, calcolando che la navata centrale arriva a 45 metri e mezzo - riveste una particolare importanza per la vita liturgica, in quanto è destinata all’arcivescovo e al capitolo metropolitano. Ma soprattutto, nella storia del Duomo le due sacrestie rappresentano la parte più antica di tutto il monumento: risalgono all’ultimo decennio del 1300, pochi anni dopo la posa della prima pietra del 1386. Al 10 ottobre 1387 risale invece il primo documento ufficiale della basilica, che come noto fu completamente rinnovata per volere del duca Gian Galeazzo Visconti. Questo progetto prevedeva due ingressi perfettamente simmetrici e di grande impatto visivo, posti l’uno di fronte all’altro, prima dell’invenzione seicentesca del tornacoro del cardinale Federico Borromeo.
Come l’Aquilonare, anche questa sacrestia ha un monumentale portale d’ingresso decorato con le storie della Vergine Maria alla fine del ‘300 da Hans von Fernach e dalla sua bottega. Grazie al restauro appena concluso, condotto dalla ditta Aconerre, le sculture si possono finalmente ammirare nella loro bellezza, dopo essere state per secoli coperte dalle patine di ossidazione e calcificazione causate sul marmo dall’umido e dai fumo. All’interno, in parte coperto dalle impalcature, c’è il lavabo trecentesco raffigurante Cristo e la Samaritana scolpito da Giovannino de’ Grassi che divenne uno degli architetti del Duomo (noto come miniatore, questa è la sua unica scultura nota). Salendo, si arriva alla volta dove si possono vedere da vicino le decorazioni ottocentesche delle volte di Giuseppe Knoller, restaurate da Anna Lucchini Restauri srl con Francesca Siena. «I colori sono scuri, perché gli artisti neogotici avevano questa visione cupa del gotico, che allora era sporco e annerito come è arrivato fino a noi», racconta Lucchini.
Nel complesso tuttavia queste opere, conclude monsignor Borgonovo, «non sono semplici marmi o affreschi: sono pagine viventi che ci offrono livelli di lettura teologici, politici e filosofici, collegandoci all’eredità spirituale di chi qui ha operato».
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