Meno persone coinvolte, più impegno: come sta cambiando il volontariato

L’indagine Istat registra un calo della partecipazione attribuito alla pandemia. Crescono le forme di aiuto non organizzato e l’attenzione al territorio
July 28, 2025
Meno persone coinvolte, più impegno: come sta cambiando il volontariato
. | Una volontaria italiana
Sono 4,7 milioni gli italiani che scelgono di dedicare il loro tempo al volontariato: il 9,1% della popolazione. Che si tratti di servire alla mensa dei poveri o di tenere compagnia agli anziani, di pulire le spiagge o di mobilitarsi contro il cambiamento climatico. A fotografare questo esercito silenzioso che si occupa del bene comune è l’Istat nell’Indagine multiscopo “Uso del tempo 2023” che coinvolge 25mila famiglie e include la seconda edizione, la prima risale al 2013, di uno modulo dedicato al lavoro volontario.
Dal rapporto emergono luci ed ombre di quello che in Italia continua ad essere un pilastro della coesione sociale. Diminuisce il numero di chi si mette a disposizione, cambiano le modalità, più flessibili e meno strutturate, ma non lo spirito di servizio con il quale si sceglie di dare il proprio contributo. Rispetto a dieci anni l’incidenza dei volontari sul totale della popolazione (di età superiore ai 10 anni) ha avuto un drastico calo del 3,6%. Una contrazione attesa e legata secondo l’istituto di statistica alla pandemia. Il volontariato organizzato, quello svolto attraverso gruppi, associazioni o organizzazioni, coinvolge il 6,2% della popolazione (3,2 milioni di persone). Quello non organizzato, che consiste in aiuti diretti offerti a persone esterne alla propria famiglia, alla comunità o all’ambiente, riguarda il 4,9% (2,5 milioni). Tra i volontari il 46,1% opera solo in contesti organizzati, il 32,2% solo in modo autonomo, mentre una quota significativa (il 21,7%, circa un milione di persone, con un aumento consistente rispetto all’8,1% del 2013), sceglie una modalità “ibrida”.
La partecipazione presenta una frattura territoriale: al Nord quella complessiva è dell’11,9%, al Centro scende all’8,8% e al Sud si dimezza toccando appena il 5,5%. Non si registrano invece sostanziali differenze di genere: i livelli di partecipazione si sono avvicinati per il calo maggiore tra gli uomini che preferiscono le attività organizzate mentre le donne sono più propense ad operare in modo diretto. L’identikit del volontario tipo vede ancora una presenza considerevole di laureati e adulti: si tratta delle categorie storicamente più attive. Tra i laureati il 10,3% partecipa al volontariato organizzato e il 7,9% all’aiuto diretto. Sono soprattutto over45 e pensionati a dedicarsi agli altri: i tassi più alti di partecipazione riguardano i 45-64 enni (7,2% per l’organizzato e 5,9% per il diretto), seguiti dagli over65. Al contrario, nel decennio 2013-2023, si assiste ad una disaffezione dei più giovani. La fascia d’età compresa tra i 25 e i 44 anni è quella con le contrazioni più marcate. Limitato e in forte calo è l’impegno tra gli studenti (5,5% per il volontariato organizzato e 3,4% per quello non organizzato). Unica nota positiva il grande impegno, anche in termini di tempo, dei giovani volontari. Come dire: pochi ma buoni.
Secondo l’indagine, le attività ricreative e culturali sono oggi il settore più attivo che coinvolge quasi un volontario su quattro. Seguono l’assistenza sociale e la protezione civile (22%), le attività religiose (17,2%), la sanità (15,1%) e lo sport (7%). Rispetto al 2013 aumentano i volontari organizzati nei settori ricreativo e culturale, nell’assistenza sociale e protezione civile e l’ambiente. Diminuiscono in quelli religioso, sportivo e sanitario. In diminuzione anche nel tempo medio complessivo dedicato: da 19 a 18 ore al mese. La flessione è più marcata nelle attività non organizzate (da 16 a 11 ore), mentre quelle organizzate si mantengono relativamente stabili. Questo diverso andamento si deve al fatto che il secondo richiede comunque un impegno costante, data la sua forma più strutturata, mentre quello non organizzato rappresenta una pratica più occasionale e meno impegnativa. Il rapporto dell’Istat segnala una tendenza a un volontariato flessibile, autodiretto e spesso legato a contesti specifici. Fare il volontario è comunque una scelta di vita: oltre il 70% era già attivo prima della pandemia, a conferma di una forte continuità nell’impegno. Solo il 2,6% ha iniziato durante l’emergenza, mentre il 26,4% ha cominciato dopo il 2020 per altre ragioni. Circa l’84,6% dei volontari organizzati era attivo da almeno un anno, e quasi quattro su 10 (38%) da oltre 10 anni.
Rispetto al 2013 si delinea un volontariato in trasformazione, con una partecipazione più orientata al benessere sociale e alla cura del territorio, in linea con i bisogni emersi negli ultimi anni. Si registrano cambiamenti significativi nei destinatari dell’aiuto diretto. Diminuisce sensibilmente la quota di aiuti rivolti ad amici, vicini e conoscenti che, pur restando la categoria prevalente, passa dal 66,8% al 56,7%. Si riduce anche il sostegno a persone sconosciute fino all’inizio della relazione di aiuto (dal 14,6% al 9,7%), segno di un diverso modo di interpretare l’aiuto personale. Al contrario, cresce in modo marcato la quota di aiuti indirizzati alla collettività, all’ambiente e al territorio, che passa dal 16,6% al 31,3%, un valore quasi raddoppiato rispetto al 2013.
Dal rapporto emerge infine che fare volontariato porta una serie di ricadute positive sulla sfera personale: dal miglioramento del benessere individuale (indicato dal 26%), all’ampliamento delle relazioni sociali. Altri effetti segnalati sono il cambiamento del punto di vista sulle cose e lo sviluppo di una coscienza civile. Tra le motivazioni che spingono gli italiani ad avvicinarsi a questo mondo ci sono gli ideali condivisi (31,1%) e il bene comune (21,5%) nel volontariato organizzato. Per quanto riguarda l’aiuto diretto, prevalgono motivazioni pragmatiche: aiutare in caso di emergenza (27,5%) o assistere persone bisognose di cure (24,6%) sono le due spinte principali.

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