L'ultimo naufragio? Almeno altri otto morti non contati
Il medico di Pozzallo, che è salito a bordo del mercantile Port Fukuoka, racconta la disperazione dei naufraghi: "Continuavano a ripetere "altri, altri, altri..." davanti ai due neo

Almemo altri sette o otto dispersi in mare. Ne è convinto Vincenzo Morello, il medico di Pozzallo, responsabile dell’Usmaf (l’Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute). "Erano due barche, a bordo ci saranno state 100 e più persone» racconta il medico i momenti in cui è salito a bordo del mercantile Port Fukuoka, sabato scorso, per riconoscere i due neonati morti in seguito all’operazione di soccorso avvenuta lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Un’operazione difficile perché molte persone erano cadute in mare, dalla concitazione dei soccorsi.
«Quando siamo saliti a a bordo le due madri erano disperate continuavano a piangere – racconta il medico – e tutti gli altri si sono avvicinati a noi dicendoci “altri, altri, altri” così abbiamo capito che c’erano altri morti, altre persone disperse. Non solo i due neonati, di otto e dieci mesi, un maschietto e una femminuccia, e un disperso, come si era creduto all’inizio ma almeno altre sette o otto persone perse in mare»

Il medico di porto a Pozzallo oggi ha 67 anni ma è dal 2010 che si occupa di accertarsi delle condizioni mediche dei migranti che vengono soccorsi: ustioni, ferite da violenze, donne in stato di gravidanza e naturalmente anche decessi. Con una ventina di volontari Caritas e Migrantes, «disponibili tutte le ore, anche di notte» aggiunge il medico, è il primo a prendere contatto con i disperati del mare. «Nel naufragio della Port Fukuoka (il mercantile che ha soccorso i naufraghi, ndr) abbiamo capito che i migranti viaggiavano su due barconi (due gommoni o imbarcazioni in vetroresina): si erano trasferiti tutti su una barca perché avevano avvistato la polizia libica e stavano tentando di allontanarsi». L’equipaggio del mercantile ha cercato di salvare più persone possibili, cadute in mare. «Erano più di 100 – racconta Morello – noi ne abbiamo portati a terra 97 (inclusi i due corpicini) e altri due (marito e moglie) erano stati evacuati perché alla donna, incinta, si erano rotte le acque». Dal mare è stato recuperato un altro bambino, di circa un anno e mezzo. «A bordo hanno fatto alcune manovre da pronto soccorso e sono riusciti a rianimarlo e una volta giunto a Pozzallo è stato portato in ospedale ma ora sta bene». Quando si entra in contatto con il migrante soccorso in mare , spiega il medico, "mettiamo in atto tre fattori, rigorosamente in questo ordine: al primo posto c’è il fattore sanitario, dobbiamo valutare le condizioni fisiche e intervenire subito se ci sono urgenze particolari; poi quello umanitario: dobbiamo cercare cioè di non dividere le famiglie, i bambini e i loro affetti; poi da ultimo arriva il fattore burocratico: nome e cognome, nazionalità e da dove provengono".
Da 25 anni il medico applica una tabella denominata il “metodo Ragusa”: «è un foglietto con tutti i dati delle persone sbarcate – spiega – operiamo tutti assieme, anche con la squadra mobile e la scientifica: siamo tutti amici in paese e poi l’emergenza ce lo impone. Abbiamo un foglietto di carta su quale attribuiamo una lettera e un numero a una madre e poi la stessa lettera ma con numero decrescente ai figli. In questo modo non rischiamo, una volta a terra, di trovarci con la madre ad Augusta, il padre a Pozzallo e il bambino a Trapani».
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