ll popolo della pace non si vuole arrendere: «Fermiamo le armi»
Da Milano a Iglesias, Cameri e Viterbo, fino a Strasburgo: sono alcune delle tappe per la nonviolenza e il disarmo, nei territori e nei luoghi di lavoro

Lo abbiamo visto marciare nei cortei e riunirsi nelle piazze. Lo abbiamo visto persino solcare i mari, come nel caso della Flotilla. Ormai lo sappiamo: il popolo della pace non è disposto ad arrendersi di fronte alle ingiustizie dei nostri tempi. Lo sta dimostrando con iniziative diverse in tutti i territori, a volte in modi più eclatanti, come le manifestazioni, altre volte scegliendo il silenzio, come succede per esempio in piazza Duomo a Milano, dove per un’ora al giorno, da cinque mesi ormai, si ritrovano comuni cittadini con cartelli in mano che chiedono la pace in Palestina. In questa mappa della solidarietà e della partecipazione ci sono anche tante realtà e persone che ogni giorno organizzano incontri o progetti per contrastare il bellicismo e aiutare le popolazioni afflitte dalla guerra. Succede per esempio a Iglesias, in Sardegna, dove oggi arriva una delle oltre 50 tappe della “Carovana per un’economia di pace”, un’iniziativa promossa da Sbilanciamoci! e Rete Pace e Disarmo in diversi luoghi in cui si vive direttamente l’impatto delle scelte giustificate dall’idea che la guerra faccia bene all’economia. A ricordarci perché Iglesias è uno di questi luoghi emblematici è Carlo Cefaloni – del gruppo di lavoro “Economia Disarmata” del Movimento Focolari Italia –, che lì ha organizzato l’evento centrato in parte sulla formazione dei giornalisti rispetto a questi temi, in parte su laboratori che metteranno in contatto cittadini, università, mondo della ricerca e imprese che vogliono allearsi per creare un’alternativa all’economia di guerra. «Iglesias è l’unica realtà dove la mobilitazione è riuscita a far applicare davvero la legge 185 del 90 sul controllo del transito di armi, bloccando dal 2019 al 2023 l’invio verso l’Arabia Saudita di bombe e missili prodotte nella zona. Oggi molti sardi in quel territorio stanno continuando a dire no, rifiutando l’ampliamento della fabbrica di bombe», racconta. Ma per contrastare davvero l’economia di guerra, continua, bisogna mostrare che un’alternativa esiste e crea anche molti più posti di lavoro e ricchezza da ridistribuire: «È quello che stiamo provando a fare mettendo per esempio in evidenza durante l’evento l’esperienza di “Warfree”, una rete di imprese sarde che ripudiano la guerra, offrendo prodotti, servizi e posti di lavoro alternativi a quelli dell’industria delle armi».
Il desiderio di andare oltre la retorica e al contempo abbattere quelle narrazioni che favoriscono l’immaginario belligerante è condiviso da don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi che da anni critica la produzione di F-35, assemblati vicino al paese in cui abita, a Cameri (Novara), dove sempre a novembre arriverà un’altra tappa della Carovana dedicata proprio agli F-35 e al disarmo. Anche Cameri è un luogo significativo: «Per molti anni è stato l’unico posto fuori dagli Stati Uniti in cui si assemblano F-35, ora si è aggiunto il Giappone». Per don Renato «stiamo già assistendo a un crescere di piccole industrie e fabbriche magari in crisi che si convertono dal civile al militare». L’esempio di Cameri però può insegnarci l’impatto reale che l’economia di guerra ha su un territorio e i suoi cittadini: «Ognuno di questi aerei costa circa 150 milioni di euro, ma è abbondantemente documentato che le spese sul settore delle armi rendono meno di altri alla società. Inoltre, a Cameri come a livello nazionale, la logica della guerra è alimentata da una propaganda travolgente, totalmente montata sul mito dell’innovazione tecnologica e dell’occupazione. Persino a scuola, a Novara, agli studenti che si diplomano con i voti più alti viene prospettata l’idea affascinante di andare a lavorare a Cameri per pilotare un aereo che può andare a 2000 km/h».

Di come il mondo del lavoro può giocare un ruolo nel contrasto all’economia di guerra ci ha parlato anche il vicepresidente delle Acli, Pierangelo Milesi, che nel sindacato ha la delega sulla pace ed è il responsabile di “Peace at Work – L’Italia del lavoro costruisce la pace”, un’iniziativa con più di 72 appuntamenti in giro per l’Italia che culminerà a Strasburgo il 15 dicembre con la consegna di un appello alle istituzioni dell’Unione Europea: «Il manifesto che presenteremo si sta costruendo tappa dopo tappa sulla base delle indicazioni che arrivano dai lavoratori e le lavoratrici che stiamo incontrando, ma il messaggio che emerge è già chiaro, e cioè che non è con il riarmo dei singoli Stati e con la logica della deterrenza che si costruisce la pace». La si può costruire, invece, dal basso. Le questioni legate alla giustizia sociale stanno rientrando dunque nelle fabbriche, e non solo, anche attraverso le iniziative di “Peace at Work”, che vanno dagli incontri che favoriscono il confronto sui temi del pacifismo alle esperienze più artistiche e culturali, come spettacoli teatrali sullo stesso argomento, «il tutto sempre nel tentativo di rendere le persone più consapevoli delle conseguenze dell’economia di guerra in cui siamo immersi».
Il fronte della solidarietà «alternativo alle manifestazioni di piazza» ci viene illustrato infine da Enrico Coppotelli, segretario della Cisl del Lazio, che racconta in quali attività nella sua regione si è declinata l’iniziativa nazionale del sindacato intitolata “Maratona per la pace”, che si conclude domani a Roma: una raccolta fondi a favore della Croce Rossa Italiana per contribuire alla protezione delle vittime del conflitto a Gaza. «Siamo andati nei territori costruendo occasioni diverse di raccolta fondi e partecipazione – spiega –. Tra queste, per esempio, c’è stato un concerto a Rieti, un bellissimo evento che con oltre 450 persone nel pubblico ha dato ancor più il senso di quanto la musica riesca a unire realtà molto diverse su un tema però comune che è la pace, la solidarietà». Una partecipazione entusiasta che la Cisl del Lazio sta raccogliendo nei modi più diversi, dal torneo di padel a Viterbo a una maratona vera e propria di 6 km a Latina: «Le persone non solo hanno potuto donare del tempo a questa causa, ma anche scegliere che contributo economico dare a seconda delle proprie possibilità. Il merito di questo tipo di eventi è anche che generano una circolarità, dalla parte epidermica del “voglio partecipare” alla parte concreta del “ho partecipato e ne vedo anche il frutto”».
Le iniziative raccontate sono solo la punta dell’iceberg della mobilitazione in corso e mostrano come la ricerca della pace in Italia non si fermi alla protesta, ma si articoli attraverso proposte concrete di riconversione economica, rifiuto del riarmo e raccolta di risorse a sostegno delle vittime dei conflitti. Sono tutte espressioni di una resistenza che cerca di contrastare l’idea diffusa che non si possa fare niente per cambiare lo stato delle cose, di superare coi fatti quella “globalizzazione dell’impotenza” verso la quale già papa Francesco, e ora papa Leone, ci hanno messo in guardia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






