Layla ed Elana, le due madri che hanno commosso il Meeting
Una è musulmana di Betlemme e ha perso il figlio piccolo nella seconda Intifada; l'altra, israeliana, ha perso il suo Yannai, che faceva il soldato, il 7 ottobre 2023. Ecco cosa si sono dette

«Le madri sono diverse dai politici, siamo più pratiche, noi...». Al Meeting nel giorno di digiuno e di preghiera per la pace chiesto dal Papa arriva, poderoso, il messaggio Elana Kaminka, madre di Yannai, ufficiale dell’esercito israeliano ucciso il 7 ottobre 2023 e Layla al-Sheik, palestinese di Betlemme che ha perso un figlio piccolo, Qusay, nella seconda Intifada. Elana mostra una cartina proiettata sullo schermo: «Ecco, noi viviamo vicinissime. ci divide un muro. Il nostro popolo non ha alcuna intenzione di andar via da dove è e neppure il loro, e avere cattivi rapporti con i vicini non è conveniente. Bisogna convivere. Mi chiedo quante persone debbano ancora morire per capire una cosa semplice come questa».
La pace spiegata con semplicità, come parlando ai bambini, le vittime più assurde di questo conflitto, all’incontro inaugurale del Meeting, dal titolo “Madri per la pace”. Ed ecco l’impensabile amicizia con Layla. La quale, dall’altro lato del muro, racconta: «Non è facile. Io ci ho messo 16 anni, fin quando ho incontrato una persona che per la prima volta mi ha fatto percepire l’altro, l’israeliano, come un esser umano. Così sono diventata membro attivo di questo forum impegnato nel dialogo e nella riconciliazione».
Nel mezzo di questa amicizia impensabile la storia incredibile a sua volta di Azezet Habtezghi Kidane, religiosa comboniana eritrea (da tutti conosciuta suor Aziza) che opera da 14 anni in Israele e nei Territori Palestinesi, dopo aver operato già nei conflitti della sua terra, in Eritresa e Sud Sudan. Chiede, e ottiene, un applauso per la moderatrice dell’incontro, Alessandra Buzzetti che ha avuto il «coraggio» di promuoverlo. Anche per lei - ex vaticanista di Mediaset, ora corrispondente da Gerusalemme di Tv2000 - la pace in Medio Oriente è diventata come una vocazione, un’utopia che nella realtà può diventare esperienza da raccontare. Oltre i confini è il titolo del libro scritto per la Libreria editrice vaticana, che racconta proprio la missione di suor Aziza. Una vocazione per la pace che ha certamente a che vedere con la capacità di questa suora comboniana esprimersi in sei lingue. Quella che usa per riguardo alla platea di Rimini, facendo riposare l’interprete, è l’italiano. Racconta di una vita segnata dalla morte per conflitto già nella sua Eritrea, avendo perso un fratello. Un dramma che ha visto riproporsi in Terra Santa, quando gli israeliani hanno distrutto i villaggi dei beduini «i più poveri fra i poveri. Ho visto morire troppe persone, sono i momenti in cui la fede vacilla, in cui ti trovi a chiedere al Signore:“Perché hai permesso tutto questo?». Ma poi mi viene in mente mia madre, che di fronte alla morte di mio fratello diceva: “Sia fatta la volontà di Dio”. Ognuno di noi deve accettare la sua ferita, se no la pace non avverrà mai».
Dura con il governo israeliano, Elana: «Non ha rispetto per la vita, né per quella dei palestinesi, né per quella degli ostaggi, non permettendo la loro liberazione. Per l’ebraismo la vita è il valore più importante, ma la gente al potere oggi, si vede che non conosce i valori della nostra religione». Le fa eco Layla: «Ho condannato Hamas perché quello non è l'Islam in cui credo. Credo che Dio parli sempre di pace. Nell'Islam la prima cosa che si dice quando si incontra qualcuno è “Salaam alekum”, che significa “La pace sia con te”. Anche in In ebraico si dice “Shalom”, che vuol dire “pace a te”, e quindi Dio è amore e amore e pace. Non si parla di omicidi, di uccisione. Purtroppo - argomenta - alcune persone spiegano le regole come vogliono e le interpretano a modo loro. E giustificano quello che fanno. Anche nell’ebraismo e nel cristianesimo fanno la stessa cosa. Ma questo non è l'Islam, l'Islam parla di amore».
Si tratta di non generalizzare per i crimini compiuti dall’altra parte. «Le generalizzazioni sono estremamente pericolose - dice Elana -, per quanto è successo il 7 ottobre, non do la colpa alla maggioranza dei palestinesi. Tutti dobbiamo lasciare da parte e dimenticare queste generalizzazioni, guardarci come esseri umani e trovare soluzioni pratiche per convivere insieme, perché è urgente». I primi a meravigliarsi del perdono, e a faticare a capire, all’inizio, sono proprio i bambini, ma poi vedono che qualcosa di diverso dall’odio è possibile. «Noi - dice Layla - vogliamo per loro una vita migliore, vogliamo la pace. Non vogliamo che rimangano lì ad aspettare non vogliamo rimanere ad aspettare, dobbiamo fare qualcosa. Come madri abbiamo il potere e abbiamo il coraggio per farlo, non possiamo aspettare che i nostri leader facciano qualcosa, perché abbiamo aspettato per 77 anni, ma la situazione è ancora così», conclude.
«Questo incontro è paradigmatico di quel che vogliamo portare alla luce, il dialogo anche nelle situazioni più difficili», dice il presidente del Meeting Bernhard Scholz, che in questo incontro inaugurale legge per intero, (molto applauditi dai 5mila presenti in un auditorium gremitissimo) i messaggi arrivati da Papa Leone XIV e Sergio Mattarella. «Queste madri avrebbero avuto tutte le ragioni per odiarsi e invece si sono aperte». E da Rimini Scholz, nella giornata della pace, lancia un appello a Israele a far arrivare gli aiuti a Gaza «senza condizioni» e ad Hamas a «liberare gli ostaggi».
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