Israele, la Nazionale e il boicottaggio: cos'è successo (e che può fare Udine)

Dopo le parole del sindaco sull'inopportunità della partita, interviene il ct Gattuso: «Io uomo di pace, ma si giochi». Il Viminale: per noi tutto si può svolgere regolarmente. Il precedente R
August 31, 2025
Israele, la Nazionale e il boicottaggio: cos'è successo (e che può fare Udine)
Reuters | Il ct della Nazionale italiana di calcio, Rino Gattuso
«Sono un uomo di pace, mi auguro che la pace ci sia in tutto il mondo, fa male al cuore vedere civili e bambini che lasciano la vita; dopo però facciamo un altro mestiere, il presidente Gravina si sta dando da fare per trovare soluzioni per riuscire a fare la gara a Udine con Israele in modo perfetto». È stata questa la risposta del neo ct Gennaro Gattuso nella prima conferenza a Coverciano, a chi gli chiedeva un parere sul possibile rinvio della sfida tra le due Nazionali di calcio. «Israele è nel nostro girone, ci dobbiamo giocare, purtroppo c'è una guerra in atto e questo fa male» ha rimarcato Gattuso. Il riferimento del commissario tecnico è alla partita Italia-Israele, in programma a Udine il prossimo 14 ottobre. «Israele non è stato escluso dalle competizioni sportive internazionali. Ma di fronte a un dramma che non ha eguali negli ultimi ottant'anni, davanti a tanta sofferenza io dico: fermiamoci, giocare adesso sarebbe inopportuno» ha affermato, secondo quanto riporta "Il Messaggero Veneto", il sindaco di Udine Alberto Felice De Toni, chiedendo di riconsiderare l'ipotesi di disputare la partita. Una petizione online lanciata da Possibile ha chiesto lo stop del match e ha raccolto 20mila firme. «Per quanto di competenza del Viminale», la partita di calcio Italia-Israele si può giocare regolarmente, hanno sottolineato fonti del ministero dell'Interno, in riferimento a possibili preoccupazioni legate all'ordine pubblico.
«Questa partita a Udine non s’ha da fare!». È il pensiero tassativo del primo cittadino del capoluogo friulano, Alberto Felice De Toni, che già un anno fa aveva espresso il suo «no» a Italia-Israele, gara di qualificazione ai campionati del mondo del 2026, in programma lunedì 8 settembre alla Dacia Arena di Udine. Quel «no» di dodici mesi fa ora è avallato da 20mila firme raccolte da una petizione online che chiede lo stop al match di lunedì prossimo. «Israele non è stato escluso dalle competizioni sportive internazionali ma di fronte a un dramma come quello di Gaza, che non ha eguali negli ultimi ottant'anni, davanti a tanta sofferenza giocare adesso sarebbe inopportuno per una questione di ordine pubblico», ha sottolineato a più riprese il sindaco De Toni, il quale però è consapevole che la sua proposta-appello parte molto dalle retrovie rispetto alle istituzioni deputate a decidere se Italia-Israele si può giocare o meno nella sua città. Il parere riguardo all’opportunità dipende infatti dalla Federcalcio che organizza l’evento su disposizione della Uefa, e poi c’è l’Udinese calcio, la società della famiglia Pozzo che è proprietaria dell’impianto sportivo, la Dacia Arena. Le idee, come i timori per l’ordine pubblico espressi dal sindaco di Udine sono comprensibili, anche perché c’è sempre qualche frangia estrema che potrebbe approfittare dell’occasione per compiere atti di “giustizia sommaria” o di “folle ingiustizia”. La storia calcistica a Udine rimanda a un grave precedente di antisemitismo: il “caso Rosenthal”.
L’estate del 1989 l’attaccante israeliano Ronny Rosenthal, classe 1963, cresciuto nella squadra della sua città natale, il Maccabi Haifa, venne acquistato dal club friulano che, per la bella somma di 1 milione e 500 mila sterline, lo rilevò dai belgi dello Standard Liegi. Il bomber israeliano atterra a Udine e non viene accolto secondo tradizione ultrà da sciarpe e cori di incoraggiamento, ma da un assurdo e perentorio monito che imbratta i muri della sede dell’Udinese: “Rosenthal go home”. L’orda balorda rimarca le radici ebraiche del calciatore e lo schernisce con un teschio coronato. Condannato ancora prima di sbagliare un calcio di rigore. E a nulla serviranno le richieste del mister Bruno Mazzia che chiede alla società di trattenere l’attaccante in quanto indispensabile al suo progetto tecnico. La situazione sfugge di mano, le polemiche avvelenano l’ambiente e l’Udinese per sedare gli animi corre ai ripari giustificando l’eventuale non tesseramento di Rosenthal non certo come un episodio di antisemitismo ma per mere ragioni sanitarie. Alle visite mediche emerge un fantomatico problema alla colonna vertebrale e quindi il bomber israeliano va rispedito al mittente, allo Standard Liegi.
Nelle giornate in cui si consuma questa farsa pallonara, gli irriducibili antisemiti proseguono la loro azione terroristica con altre scritte intimidatorie corredate dalla svastiche. Sui muri urbani si leggono le inurbane quanto assurde: “Via gli ebrei dal Friuli” e un esplicito naziavvertimento, “Rosenthal vai nel forno”. Si firmano gli Htb, Hooligans Teddy Boys, gli allora padroni della Curva che si dicono pronti a scacciare l’ebreo con le loro mani. Rosenthal viene tenuto sotto tutela nel ritiro dell’Udinese, mentre la città prova a ribellarsi a una simile e inaudita violenza rassicurandolo che è pronta a vederlo in campo. Ma l’onda razzista fa paura all’Udinese che già tre anni prima del “caso Rosenthal” era stata costretta a rescindere il contratto con l’attaccante peruviano Geronimo Barbadillo attaccato pesantemente da quella stessa sporca dozzina ultrà per via del colore della pelle. Barbadillo a dispetto di quel linciaggio non si è fatto intimidire e pur lasciando l’Udinese non ha mai abbandonato Udine, la civilissima città dove ha fatto crescere i suoi figli e ha aperto attività commerciali, supportato sempre dall’affetto dei tanti tifosi - anche non del calcio - dell’uomo Geronimo. Sarebbe bello se lunedì prossimo Rosenthal tornasse a Udine, sarebbe l’ospite più gradito, pensiamo noi. Sarebbe il modo migliore per chiudere per sempre quella brutta pagina che lui ha archiviato continuando a vivere di calcio, come procuratore e come papà di Tom Rosenthal, calciatore ed ex della nazionale d’Israele che però ha appeso gli scarpini al chiodo a soli 21 anni. Ha smesso per via dell’antisemitismo? No. Ha chiuso per stress verso un mondo come quello del pallone, dove 1 su un milione ce la fa, ma è anche un universo in cui milioni di appassionati vogliono veder giocare Italia-Israele. Una partita che se non cambierà la storia del calcio non può neppure ferire l’umanità, specie quella che crede ancora nello sport come strumento di comunione e di pace fra i popoli, tutti.

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