In Trentino c'erano dei carabinieri «al servizio della ‘ndrangheta»

La ndrina della Val di Cembra dominava la politica localee le cave di porfido. «Sottomessa» anche una caserma, che insabbiò il caso di un lavoratore cinese picchiato dal clan.
July 15, 2025
In Trentino c'erano dei carabinieri «al servizio della ‘ndrangheta»
Una stazione dei carabinieri “asservita” a un clan, ndranghetisti che monopolizzano il business delle cave di porfido sfruttando (e pestando) i lavoratori stranieri, la politica locale infiltrata e ampiamente compromessa. È questo il poco idilliaco quadretto della Val di Cembra, nel cuore del Trentino, che il giudice dell’udienza preliminare esaminerà domani, venerdì 18 luglio. La procura di Trento ha chiesto il rinvio a giudizio per 15 persone, a conclusione dell’inchiesta “Perfido 2”, che chiama in causa le relazioni pericolose tra boss calabresi travestiti da imprenditori, amministratori pubblici e uomini delle forze dell’ordine. Tra gli imputati del primo troncone figurava anche l’ex generale dell’esercito Dario Buffa, in passato comandante regionale per il Trentino Alto Adige: a luglio 2024 ha patteggiato 8 mesi per favoreggiamento e sostituzione di persona.
Epicentro del groviglio affaristico-mafioso era il paesino di Lona Lases, capitale italiana dell’estrazione di porfido, il cui Comune fu commissariato dopo che si scoprì che in giunta sedevano personaggi eletti con l’appoggio del clan. Tra gli imputati figura infatti l’ex sindaco, Roberto Dalmonego, nato a Rovereto, accusato di “aver accettato la promessa di procurargli voti per le elezioni del 2018, in cambio di altra utilità nella forma di provvedimenti amministrativi”.
I calabresi, approfittando della “distrazione” degli autoctoni (“Questi non si accorgono di niente, possiamo fare quello che vogliamo” diceva un uomo del clan in un’intercettazione), si erano presi le concessioni delle cave, pagandole con soldi di provenienza illecita, e usandole anche come copertura di altri affari. Nel 2014 la polizia doganale spagnola fermò un carico di cubetti di pietra provenienti dall’Argentina: dentro c’erano anche 200 chili di cocaina destinati alla Val di Cembra.
Un “sistema” iniziato negli anni ’80 e andato avanti fino al 2020, quando il procuratore capo Stefano Raimondi unì i puntini “accertando la presenza di personaggi collegati a famiglie molto importanti della Calabria”, specialmente della zona di Cardeto, nel Reggino. Presunto capo della locale trapiantata in Val di Cembra era Innocenzo Macheda, considerato dalla Dda “elemento di primario riferimento in Trentino del clan Serraino, a cui tutti i sodali portano rispetto e manifestano deferenza”. Macheda è finito a processo dopo la prima inchiesta, ma la sua posizione è stata stralciata per motivi di salute. In uno stato di “sottomissione” rispetto alla ‘ndrina, secondo Raimondi, c’erano anche i carabinieri di Albiano: durante un’audizione in Commissione parlamentare antimafia, il procuratore capo definì la stazione “a libro paga o diretta da Macheda” e dai suoi sodali. Nella richiesta di rinvio a giudizio, si legge che il comandante Roberto Dandrea “agiva come concorrente esterno dell’associazione criminale”, di fatto “intervenendo in prima persona e con gli altri militari della stazione ed adoperandosi con ogni mezzo ogni qualvolta il suo intervento fosse richiesto dagli imprenditori calabresi”, oltretutto “non denunciando i metodi violenti e intimidatori da costoro attuati”, oltre che “non indagandoli e non perseguendoli per i delitti commessi”.
L’episodio che svela più di ogni altro il clima che si respirava in Val di Cembra si verifica il 2 dicembre 2014 a Lona Lases. Hu Xupai, uno dei tanti lavoratori cinesi impiegati a cottimo nelle cave, stanco di rinvii e minacce, reclama i 34 mila euro di paga arretrata che gli spettano. Ottiene un appuntamento e si reca in un impianto estrattivo, dove però trova tre macedoni in combutta con il clan: uno gli punta la pistola alla testa, gli altri due lo pestano selvaggiamente per almeno un’ora, poi lo trascinano in un container e lo legano a una sedia di plastica. Dopodiché il trio chiama i carabinieri di Albiano, denunciando di aver sorpreso un ladro. La pattuglia composta da Nunzio Cipolla e Fabrizio Amato arriva sul posto, vede Xupai con gli occhi chiusi, il volto tumefatto, i denti spaccati e le mani legate, ma anziché portarlo in ospedale lo ammanetta e lo porta in caserma. Qui il cinese peggiora a tal punto che Dandrea chiama un suo amico, infermiere volontario, e gli chiede di allertare il 118. Quando i sanitari arrivano, si rendono subito conto che Xupai è stato picchiato. Ma il comandante spiega che l’uomo “è caduto in un dirupo”. Il lavoratore se la caverà con 20 giorni di prognosi e la menomazione permanente della mandibola.
I tre macedoni non vengono denunciati, ma sarà lo stesso Xupai a recarsi in procura e a raccontare la storiaccia. Tra 2018 e 2019 i tre aggressori saranno condannati in via definitiva a 2 anni e 8 mesi di reclusione. Ora tocca ai carabinieri che, se saranno rinviati a giudizio, dovranno rispondere di omessa denuncia e omissione di soccorso, con l’aggravante “di aver così agito al fine di agevolare l’attività dell’associazione criminosa ex art. 416 bis”.
«È una vicenda dai tratti così crudi da suscitare un moto di iniziale incredulità in chiunque ne venga a conoscenza - spiega l’avvocato Sara Donini, legale di Xupai, che si è costituito parte civile – se è venuta alla luce lo si deve alla tenacia del compianto avvocato Giampiero Mattei, che mi ha preceduto. Il mio rammarico, anche come cittadina, è però quello di assistere ad un processo nel quale il decorso del tempo avrà la meglio: i reati contestati ai membri dell’Arma sono infatti destinati a cadere in prescrizione ed alcuni lo sono già. Una giustizia mutilata. Resta la speranza che questa triste storia possa portare nuova consapevolezza anche in Trentino».
Nell’attesa del processo, Lona Lases guarda avanti. Nel 2024, dopo tre tornate andate a vuoto, è stato finalmente eletto un nuovo sindaco, Antonio Giacomelli. La ‘ndrangheta, dicono, non c’è più. Ma la sua lunga ombra incombe ancora sulla Val di Cembra.

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