Il lavoro delle donne e quel capitale invisibile che cambierà il mondo
L'autrice Emma Holten, ospite di “Women and the City”: «È giunto il tempo di riconoscere il vero valore di ciò che non ha prezzo, a partire dal lavoro di cura»

«Per tanto tempo il femminismo ha avuto tra gli obiettivi quello di dimostrare che le donne potevano fare le stesse cose degli uomini, studiare, lavorare, votare… È stato importante, ma credo che adesso sia giunto il momento di chiederci anche cosa renda la vita bella, se le vite che conducono gli uomini sono l’ideale a cui aspirare e se c’è qualcosa nel modo in cui hanno vissuto tradizionalmente le donne che può essere di ispirazione per il futuro», a parlare è Emma Holten, attivista femminista e consulente di politiche di genere a livello internazionale che sarà ospite domenica di “Women and the City”, il festival dedicato alla parità di genere che si sta tenendo a Torino dal 22 al 26 ottobre. In questa sede, spiega ad Avvenire, parlerà proprio del capitale invisibile al quale l’economia consolidata non riconosce un valore, a partire da quello di cura svolto prevalentemente dalle donne: un tema che la scrittrice ha approfondito anche nel libro “Deficit. Perché l’economia femminista cambierà il mondo”, edito da La Tartaruga.
Come spieghi nel libro, l’economia femminista mette in discussione proprio alcuni assiomi problematici.
Nell’Ottocento gli economisti volevano creare un linguaggio neutro e decisero che prezzo e valore sono la stessa cosa. Questo ha creato una serie di problemi, non ha permesso di riconoscere il valore del lavoro di cura, gratuito o retribuito, fatto prevalentemente dalle donne (l’economia femminista, infatti, si chiama così proprio perché a queste attività sono le donne quelle che dedicano più tempo). Guardando solo agli stipendi, l’economia è finita per considerare le donne come un deficit per la società, perché non contribuirebbero tanto quanto prendono dallo Stato. In realtà il lavoro di cura è quello che rende possibile tutti gli altri, perché se le persone non sono sane e felici il resto non funziona. Il basso investimento in assistenza e cura ha un costo sul lungo periodo che non viene considerato: si pensi ad esempio alle conseguenze dei tagli agli investimenti per la salute mentale.
Quindi la definizione di “valore” è politica?
Sì. Si pensa prima a costruire le fabbriche e poi ospedali e scuole, ma dovrebbe essere il contrario: perché le industrie funzionino servono salute e formazione. La cura viene vista come un dessert, ma invece è la patata, la parte centrale del pasto. Nella politica finanziaria dell’Ue una fabbrica di armi è vista come qualcosa che crea valore e un ospedale come qualcosa che lo toglie, ma non è così: semplicemente l’assistenza è caotica, un prodotto difficile da quantificare, e per questo viene esclusa. Siamo cresciuti con l’idea che l’economia sia una scienza esatta, come la fisica o la chimica, ma la visione femminista ci mostra che non è così e ci sono molti modi per costruire la società.
Oggi c’è anche l’IA a lanciare una nuova visione, promettendo di liberare tempo dal lavoro. Ma questo comporta nuovi rischi di ampliare le disuguaglianze.
Con tutte le tecnologie le cose possono andare in due direzioni. La prima comporta aumento della produttività, licenziamenti e più persone che non hanno abbastanza per vivere: è quello che è successo con Internet, che ha portato a un aumento della produttività e non degli stipendi, mentre i più ricchi sono diventati ancora più ricchi. Anche il valore dell’IA sta già arricchendo i vertici così come potrebbe farlo l’aumento della produttività. Tuttavia, la seconda strada è possibile: l’IA può liberare il nostro tempo da lavori tecnici, pesanti e noiosi, tempo che potremmo dedicare a riposo, creatività, cura di noi stessi e dei nostri cari. Sarà possibile solo se questa volta le risorse verranno ridistribuite equamente. Ma non avverrà automaticamente: servono sindacati forti, priorità politiche forti e politici coraggiosi che facciano confluire quanto si ottiene dall’IA a beneficio della popolazione.
In un mondo dove anche la cura viene progressivamente digitalizzata oltre che esternalizzata – si pensi alle piattaforme e ai servizi privati “a gettone” – non c’è un nuovo rischio di mercificazione del lavoro femminile?
Anche questo si lega al paradosso attuale: siamo più ricchi che mai, con più tecnologie di sempre, ma la gente è più povera, le disuguaglianze aumentano e i sindacalisti sono sicuramente meno ottimisti su quanto possono ottenere rispetto a 50 o 100 anni fa. La politica è diventata burocratica: si prendono le decisioni più importanti sulla base di modelli e fogli Excel, senza domandarsi cosa sia una buona vita e una buona società: serve dunque il ritorno di un’ideologia, non più basata solo su come fare aumentare il Pil o la produttività.
Ci sono anche altre politiche che vengono concepite da una prospettiva tecnica e mai sociale: mi vengono in mente quelle per l’ambiente. L’economia femminista può ridefinire l’idea di transizione in un modo più umano e sostenibile?
La crisi climatica e quella dell’assistenza sono il risultato della stessa cosa: la sottovalutazione del valore di cose che sono difficili da quantificare ma che sono estremamente importanti, come la cura e la natura. Quando un economista osserva i consumi dice “Bene, sono in aumento, stiamo producendo e comprando di più”, ma non considera le conseguenze sull’ambiente così come quelle su comunità, famiglie, amicizie e persone se stanno lavorando di più per ottenere questi risultati. Nella visione femminista dovremmo fare maggiormente cose che hanno meno impatto negativo sull’ambiente e più impatto positivo sul benessere di ciascuno rispetto alle attività legate al consumismo. Dovremmo essere noi cittadini a definire ciò che ci fa sentire ricchi ed è economicamente rilevante. Se chiedi alla maggior parte delle persone cosa crea davvero valore per loro, cosa gli dà gioia, ti risponderanno sentirsi in salute, dormire e mangiare bene, stare con la famiglia, passare dei momenti indimenticabili con un amico. È ora di guardare la società con occhi nuovi.
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