Il giurista De Sena: «Onu e Corte penale contano, ma vanno riformati»
di Diego Motta
Il professore di Diritto internazionale: «Onu e Cpi restano soggetti strategici, ma vanno riformati. Gaza punto di non ritorno, ora si muovano le opinioni pubbliche»

«È in atto un pericoloso processo di decostituzionalizzazione » denuncia Pasquale De Sena, ordinario di Diritto internazionale all’Università di Palermo. Sono i principi-chiave delle nostre democrazie a essere messi in gioco e per questo è necessario che le opinioni pubbliche si mobilitino. Mercoledì De Sena parteciperà a un convegno al Parlamento europeo sulla Corte penale internazionale, «un attore di pace sotto attacco», recita il titolo del convegno. «Vogliamo mettere in evidenza come la situazione si stia velocemente deteriorando, anche dal punto di vista del diritto internazionale e del diritto umanitario» spiega De Sena, già presidente della Società italiana di Diritto internazionale e dell’Unione europea. Nel nuovo scenario mondiale, stanno venendo meno, in maniera neanche troppo sotterranea ormai, alcuni fondamenti giuridici, traditi nello spirito e traditi sul campo. Per De Sena, «l’assunto da cui occorre partire è che le norme internazionali sono state pensate da sempre come forma di tutela dei più deboli. Chi è forte non ha bisogno di invocare il rispetto delle regole».
Quali sono, a suo parere, i principi a rischio in questa fase storica?
Tanti hanno giustamente messo l’accento sul divieto sancito dalle Nazioni Unite relativo all’uso della forza nelle relazioni internazionali, fatto salvo il caso di legittima difesa. È il cuore dell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite. Io mi concentrerei anche su un altro punto-chiave: riguarda il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Ovviamente mi riferisco in particolare ai casi di Ucraina e Palestina. Mettiamo anche che si raggiunga uno stato di pace tra i contendenti: come sarà poi possibile garantire una sovranità e un futuro ai cittadini che fino a poco prima erano al centro delle ostilità, senza che più ci siano interferenze esterne?
Papa Prevost ha parlato di «chiara violazione del diritto internazionale».
È stato un messaggio di straordinaria importanza, perché le violazioni si ripetono continuamente, da molto tempo. Nessuno ha saputo reagire, ad esempio, al doppio attacco di Israele e Usa contro l’Iran. I principi non sono scritti sull’acqua, il problema è cercare faticosamente, attraverso la Carta, di ricostruire una volontà politica e costituzionale in grado di comporre pacificamente le controversie. È un compito molto difficile.
Con la crisi del multilateralismo, però, tutto questo è finito appannaggio delle superpotenze. Poche e assai poco democratiche, in questa fase. Non è così?
L’individuazione di soluzioni negoziali ai conflitti spetterebbe alle classi politiche dei singoli Stati, visto che strumenti e meccanismi sono già previsti dalla Carta delle Nazioni Unite. Basterebbe applicarli. Poi c’è il ruolo degli enti non statali, compresa la cosiddetta società civile, cui tocca in modo particolare in questa fase storica di fare pressione sui governi, per chiedere pace e dire basta ai crimini commessi contro l’umanità. Dopo aver visto quello che è accaduto in questi anni a Gaza, siamo arrivati a un punto di non ritorno. Tutti devono farsi sentire.
Istituzioni come l’Onu e la Corte penale internazionale vanno riformate?
Anche in questo caso, sarà necessaria la spinta delle opinioni pubbliche. I progetti politici di cambiamento, infatti, non possono che essere condivisi, soprattutto se di tipo multilaterale. Parliamo di soggetti strategici, senza i quali non c’è futuro. Anzi, l’unico futuro in questo momento sembra essere la legge del più forte, la legge della giungla. Ho trovato illuminanti le parole pronunciate dal patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa: in Medioriente sarà pace solo quando si affronterà la questione palestinese. Bisogna recuperare la complessità dei problemi, tornando alle radici storiche e giuridiche e superando la logica della pura propaganda. A uomini forti possono rispondere soltanto popoli forti.
Il professore di Diritto internazionale: «Onu e Cpi restano soggetti strategici, ma vanno riformati. Gaza punto di non ritorno, ora si muovano le opinioni pubbliche» Pasquale De Sena
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