I bimbi nei campi rom non vanno a scuola. E pensare alle ruspe è un errore
C'è una Strategia nazionale varata dall'Italia, in accordo con l'Ue, che è rimasta sulla carta. Intanto il numero dei Neet nelle comunità nomadi è molto più alto della media nazionale. I numeri

Le ruspe per spianare i campi nomadi – ossimoro coniato negli anni 60, poi diventati negli anni campi rom com l’illusione di confinare il problema – non risolvono nulla se non vengono accompagnate da politiche di integrazione. Perché gli accampamenti formali ai margini delle città sono in forte calo da anni per scelte politiche europee adottate da diverse amministrazioni locali. Mentre gli insediamenti abusivi, come quello dove vivevano i quattro under 14 di Milano accusati di aver falciato una donna 71enne a bordo di un’auto rubata, sono provvisori in genere.
Quindi serve un altro approccio pur sapendo che dei rom e sinti si sa troppo poco perché la politica possa integrare e combattere discriminazioni e antitziganismo. Molto diffuso in Italia, come vediamo in queste ore e nel 2023 confermava l'Unar. Gli italiani sono, però, in maggioranza favorevoli a investimenti per integrare queste fasce davvero minoritarie.
Partiamo allora dalla domanda basica: quanti sono? Tra italiani, balcanici, bulgari e romeni la presenza sul territorio nazionale di rom e sinti oscillerebbe tra 120mila e 150mila persone, come riportato dalla seconda Strategia Nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione 2021-2030 varata in accordo con la Commissione europea, bis della prima del 2011-2020. Ma il Consiglio d'Europa si spinge fino a 180mila. Pochi, circa 30 mila, vivrebbero in campi, che sarebbero 516 sparsi sul territorio italiano e si registrerebbe un calo di circa 10.000 unità in un decennio. Milano è la seconda città italiana, dopo Roma, per numero di presenze stimate e insediamenti. Nell’area metropolitana meneghina sono state rilevate circa 3.400 persone rom e sinti, presenti in sette campi formali (circa 700 persone, la maggior parte cittadini italiani) e in circa 130 informali (abitati da quasi 2.700 persone, soprattutto originarie della Romania e della Bosnia). Non è invece stato possibile stimare quanti dimorano in appartamenti. Che sono la maggioranza, ma tendono a non dichiararlo per paura. Roma registra il maggior numero di presenze rom e sinte e di insediamenti. Sul territorio capitolino sono stati stimati circa 6mila rom e sinti presenti in 16 insediamenti formali (circa 4mila persone), 300 insediamenti informali (circa 1.300 persone), stabili occupati (circa 650 persone) e in appartamenti. Resta il nodo dell'età dei bambini.
I dati nazionali, tuttavia, secondo i monitoraggi condotto negli anni da Associazione 21 luglio sono inesatti perché raccolti con criteri eterogenei. Secondo l'organizzazione romana, sarebbero solo 11.100 i rom e sinti stimati che vivono in insediamenti monoetnici. Starebbero in 102 insediamenti formali all’aperto (baraccopoli e macroaree) in 75 Comuni e in 13 Regioni. Mentre 2.000 circa sono i rom stimati nelle baraccopoli informali.
Il dato che mette tutti d’accordo è la aspettativa di vita di chi nasce in baraccopoli, inferiore di 10 anni rispetto alla media italiana. Il 55% dei residenti è minorenne e il 65% dei rom e sinti presenti negli insediamenti istituzionali si stima sia cittadino italiano. Le più grandi baraccopoli formali sono concentrate nella Città Metropolitana di Napoli e a Roma. Molti rom e sinti lavorano, nonostante i pregiudizi che portano spesso a non dichiarare la propria origine per non venire licenziati, ma la bassa professionalizzazione li porta da precari nei lavori agricoli, nell’artigianato, nella lavorazione del ferro, nella manutenzione del verde, nella raccolta di rifiuti pesanti, nella pulizia di strade e immobili. Invece, il lavoro legato a giostre e circhi e la gestione degli spazi ludici hanno ancora una residuale, ma attiva rilevanza economica soprattutto tra i Sinti. Senza contare che alcuni gruppi vulnerabili di più recente migrazione, in particolare da Romania e Bulgaria, sono stati vittime di sfruttamento, lavoro nero e caporalato nell’edilizia e in agricoltura.
ll numero di giovani Neet che non studiano né lavorano provenienti da comunità rom e sinte è molto più elevato rispetto alla media nazionale già alta. La Strategia Nazionale 2021-2030, secondo l'Associazione 21 luglio, nonostante le raccomandazioni europee non ha finora introdotto cambiamenti rilevanti e non è stata ancora formalmente recepita dal governo. Inoltre, manca un piano d’azione dettagliato per l’implementazione delle misure previste, così come non è stato definito un sistema di monitoraggio. I finanziamenti per l’attuazione provengono principalmente dal “Programma Nazionale Inclusione 2021-2027”, con 20 milioni di euro gestiti dall’Unar per interventi specifici sulle comunità rom e sinte e ulteriori 40 milioni, stanziati dal Ministero del Lavoro, destinati all’inclusione scolastica e sociale. Tuttavia, si registrano segnali definiti dalla “21 luglio” come bagliori di speranza. Come lo stesso, consistente stanziamento di risorse e il numero crescente di comuni impegnati nel superamento degli insediamenti monoetnici, con una significativa riduzione di sgomberi forzati. Insomma, come altre situazioni di emergenza sociale in Italia, non è facile, ma si può iniziare a intervenire seriamente lasciando le ruspe in cantiere.
Quindi serve un altro approccio pur sapendo che dei rom e sinti si sa troppo poco perché la politica possa integrare e combattere discriminazioni e antitziganismo. Molto diffuso in Italia, come vediamo in queste ore e nel 2023 confermava l'Unar. Gli italiani sono, però, in maggioranza favorevoli a investimenti per integrare queste fasce davvero minoritarie.
Partiamo allora dalla domanda basica: quanti sono? Tra italiani, balcanici, bulgari e romeni la presenza sul territorio nazionale di rom e sinti oscillerebbe tra 120mila e 150mila persone, come riportato dalla seconda Strategia Nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione 2021-2030 varata in accordo con la Commissione europea, bis della prima del 2011-2020. Ma il Consiglio d'Europa si spinge fino a 180mila. Pochi, circa 30 mila, vivrebbero in campi, che sarebbero 516 sparsi sul territorio italiano e si registrerebbe un calo di circa 10.000 unità in un decennio. Milano è la seconda città italiana, dopo Roma, per numero di presenze stimate e insediamenti. Nell’area metropolitana meneghina sono state rilevate circa 3.400 persone rom e sinti, presenti in sette campi formali (circa 700 persone, la maggior parte cittadini italiani) e in circa 130 informali (abitati da quasi 2.700 persone, soprattutto originarie della Romania e della Bosnia). Non è invece stato possibile stimare quanti dimorano in appartamenti. Che sono la maggioranza, ma tendono a non dichiararlo per paura. Roma registra il maggior numero di presenze rom e sinte e di insediamenti. Sul territorio capitolino sono stati stimati circa 6mila rom e sinti presenti in 16 insediamenti formali (circa 4mila persone), 300 insediamenti informali (circa 1.300 persone), stabili occupati (circa 650 persone) e in appartamenti. Resta il nodo dell'età dei bambini.
I dati nazionali, tuttavia, secondo i monitoraggi condotto negli anni da Associazione 21 luglio sono inesatti perché raccolti con criteri eterogenei. Secondo l'organizzazione romana, sarebbero solo 11.100 i rom e sinti stimati che vivono in insediamenti monoetnici. Starebbero in 102 insediamenti formali all’aperto (baraccopoli e macroaree) in 75 Comuni e in 13 Regioni. Mentre 2.000 circa sono i rom stimati nelle baraccopoli informali.
Il dato che mette tutti d’accordo è la aspettativa di vita di chi nasce in baraccopoli, inferiore di 10 anni rispetto alla media italiana. Il 55% dei residenti è minorenne e il 65% dei rom e sinti presenti negli insediamenti istituzionali si stima sia cittadino italiano. Le più grandi baraccopoli formali sono concentrate nella Città Metropolitana di Napoli e a Roma. Molti rom e sinti lavorano, nonostante i pregiudizi che portano spesso a non dichiarare la propria origine per non venire licenziati, ma la bassa professionalizzazione li porta da precari nei lavori agricoli, nell’artigianato, nella lavorazione del ferro, nella manutenzione del verde, nella raccolta di rifiuti pesanti, nella pulizia di strade e immobili. Invece, il lavoro legato a giostre e circhi e la gestione degli spazi ludici hanno ancora una residuale, ma attiva rilevanza economica soprattutto tra i Sinti. Senza contare che alcuni gruppi vulnerabili di più recente migrazione, in particolare da Romania e Bulgaria, sono stati vittime di sfruttamento, lavoro nero e caporalato nell’edilizia e in agricoltura.
ll numero di giovani Neet che non studiano né lavorano provenienti da comunità rom e sinte è molto più elevato rispetto alla media nazionale già alta. La Strategia Nazionale 2021-2030, secondo l'Associazione 21 luglio, nonostante le raccomandazioni europee non ha finora introdotto cambiamenti rilevanti e non è stata ancora formalmente recepita dal governo. Inoltre, manca un piano d’azione dettagliato per l’implementazione delle misure previste, così come non è stato definito un sistema di monitoraggio. I finanziamenti per l’attuazione provengono principalmente dal “Programma Nazionale Inclusione 2021-2027”, con 20 milioni di euro gestiti dall’Unar per interventi specifici sulle comunità rom e sinte e ulteriori 40 milioni, stanziati dal Ministero del Lavoro, destinati all’inclusione scolastica e sociale. Tuttavia, si registrano segnali definiti dalla “21 luglio” come bagliori di speranza. Come lo stesso, consistente stanziamento di risorse e il numero crescente di comuni impegnati nel superamento degli insediamenti monoetnici, con una significativa riduzione di sgomberi forzati. Insomma, come altre situazioni di emergenza sociale in Italia, non è facile, ma si può iniziare a intervenire seriamente lasciando le ruspe in cantiere.
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