Ecco come la Cassazione ha riaperto la partita giudiziaria sul Covid

Pubblicate le motivazioni della sentenza che potrebbe riaprire le inchieste archiviate: «Il reato sussiste anche in forma omissiva». I parenti delle vittime: «Passo importante»
July 29, 2025
Ecco come la Cassazione ha riaperto la partita giudiziaria sul Covid
Non c’è bisogno di essere un untore di manzoniana memoria per macchiarsi del reato di epidemia colposa. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione a sezioni unite, depositando le motivazioni della sentenza con cui il 10 aprile scorso ha potenzialmente riaperto la vicenda giudiziaria del Covid.
Due anni fa i giudici del Tribunale dei ministri di Brescia avevano archiviato le accuse nei confronti dell’ex premier Giuseppe Conte e del ministro della salute Roberto Speranza, sostenendo che l’epidemia colposa non si può configurare in forma omissiva, ma soltanto “attiva”. Una tesi cui si era arrivati in modo forse un po’ frettoloso, certamente – secondo la Cassazione – in modo inesatto e non adeguato ai tempi moderni, in cui la sanità pubblica è considerata un bene giuridico primario, da tutelare nella maniera più ampia possibile. La bacchettata della Cassazione, su questo punto, è netta: «La norma incriminatrice tende ad evitare l’evento pericoloso per la salute pubblica indipendentemente dalle modalità comportamentali».
D’altro canto, sottolinea la Cassazione richiamando l’art. 40 del codice penale, “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Ecco perché i supremi giudici hanno annullato l’assoluzione di un dirigente sanitario dell’Ospedale civico di Alghero il quale, secondo la procura di Sassari, aveva omesso di adottare misure collettive e individuali di protezione dal rischio da diffusione del Covid-19 e di assicurare agli operatori un’adeguata formazione sui rischi biologici, non impedendo di fatto un focolaio epidemico divampato nella struttura tra marzo e aprile 2020.
La sentenza della Cassazione potrebbe ora riaprire tutti i procedimenti che erano stati archiviati a catena, compresi quelli aperti nei confronti di vari dirigenti ministeriali. Con conseguenze che potrebbero essere serie, in base all'art. 452 del codice penale: chi viene giudicato colpevole di epidemia colposa, da cui è derivata la morte di più persone, rischia da 3 a 12 anni di carcere.
In gioco c’è anche il tema della famigerata zona rossa della Val Seriana, che non fu attivata nonostante esercito e forze dell’ordine fossero già sul posto per sigillare Alzano Lombardo e dintorni. In questi anni, il ritornello difensivo è sempre stato che si trattò di una “decisione politica”, ma in ipotetici nuovi processi potrebbe ora spuntare un’ipotesi ben diversa: non solo il ministero della Salute, ma anche governatori e addirittura sindaci, avrebbero potuto emettere ordinanze “contingibili e urgenti” per tentare di arginare il virus, come previsto dall’art. 32 della legge 833 del 1978, quella che istituì il servizio sanitario nazionale.
«Si tratta di un passo importantissimo», ha commentato l’avvocato Consuelo Locati, legale del team che assiste i familiari delle vittime del Covid insieme ai colleghi Giovanni Benedetto, Luca Berni, Alessandro Pedone e Piero Pasini. «Nelle motivazioni, dopo l’analisi del caso specifico, le Sezioni Unite allargano la questione ponendo l’accento sulla tutela della salute pubblica e sulla mancata esecuzione di atti fondamentali che in Italia sono demandati agli organi amministrativi all’interno del Ministero della Salute ed alla Protezione Civile. Tra le omissioni ritenute rilevanti dalla Corte figurano: la mancata distribuzione dei dispositivi di protezione individuale (dpi), l’assenza di formazione del personale sanitario per affrontare emergenze e la mancanza di una corretta informazione del rischio alla popolazione». Si tratta degli stessi elementi che hanno costituito il nucleo della maxi indagine della Procura di Bergamo, che ha coinvolto 21 persone tra politici e tecnici, e che - grazie all’opposizione all’archiviazione presentata dagli avvocati dei familiari delle vittime - ha portato all’imputazione coatta di alcuni alti dirigenti del ministero della Salute dell’epoca, tra cui Ranieri Guerra e Giuseppe Ruocco. «La decisione delle Sezioni Unite – prosegue Locati – conferma la ragionevolezza e la fondatezza dell’azione giudiziaria intrapresa fin dal 2020. È un precedente che riscrive la narrazione giuridica di quanto accaduto in Italia durante la pandemia e rafforza anche la nostra azione in sede civile presso il Tribunale di Roma. Questa pronuncia ha un valore importante anche per il giudizio pendente avanti la Corte Europea dei Diritti dell’uomo in una fase cui giungono, lo sottolineiamo, solo il 5% dei ricorsi presentati».
In questi anni l’avvocato Locati è stata bersagliata da critiche e pesanti insinuazioni, la più infamante delle quali la dipingeva come speculatrice del dolore. Ora per lei, che ha visto morire di Covid il padre Vincenzo, sembra suonata l’ora della rivincita: «Adesso siamo pronti a presentare istanza di riapertura di tutte le inchieste».
© riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA