Dieci anni dopo Alan Kurdi, quel "mai più" resta un'illusione

L'attenzione mediatica nei confronti del bimbo sulla spiaggia ha smosso le coscienze. Ma a questo non sono seguite politiche di accoglienza più efficaci. E nel Mediterraneo si continua a morire
September 1, 2025
Dieci anni dopo Alan Kurdi, quel "mai più" resta un'illusione
Ansa | Il corpo senza vita di Alan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia
2 settembre 2015. Il corpo senza vita di un bambino di tre anni viene ritrovato sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. Il nome del piccolo è Alan Kurdi. La fotografia che immortala il suo minuscolo corpo con la maglietta rossa diventa presto l’immagine-simbolo più violenta, ma anche più immediata, della crisi umanitaria siriana.
Alan era di origine curda. Si era imbarcato insieme alla sua famiglia su un piccolo gommone che, da Bodrum, avrebbe dovuto raggiungere l’isola greca di Kos. Sarebbero stati appena 30 minuti di navigazione dalla costa turca ma, poco dopo la partenza, l’imbarcazione si è capovolta. A bordo c’erano 20 persone, quasi il triplo rispetto alle otto previste come limite di sicurezza.
A morire in quel naufragio furono altre 11 persone, tra cui il fratello di Alan Kurdi, Ghalib, cinque anni, e sua madre Rehanna.

La fotografia del bimbo con le piccole braccia lungo il corpo e il viso nella sabbia fece subito il giro del mondo. E così anche la storia della famiglia Kurdi: il tentativo di scappare dalla guerra civile in Siria e dall’Isis, il rifiuto dell’accoglienza da parte del Canada e la conseguente fuga via mare, raccontano solo una delle tante vicende dei migranti curdi e siriani di quegli anni.
La zia di Alan, Tina Kurdi, oggi internazionalmente riconosciuta come portavoce dei rifugiati siriani, ha detto: «C'è qualcosa in quell'immagine. Dio ha acceso la luce su di essa per svegliare il mondo». Per un certo periodo, l’idea che l’attenzione mediatica producesse un cambiamento nelle politiche di accoglienza dell'Unione europea e degli altri Paesi occidentali fu un'illusione coltivata da tanti.
Ma, a distanza di dieci anni, i numeri di morti e dispersi in mare e i respingimenti, spesso violenti, alle frontiere europee producono una narrazione diversa. Secondo i dati dell’Unicef, dal 2015 ad oggi sono circa 3.500 le bambine e i bambini morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale. Questa resta, stando alle stime più recenti delle Nazioni Unite, la rotta migratoria più mortale al mondo, con le 20.803 persone morte o disperse nel percorrerla.

Se si aggiungono poi i morti e i dispersi su altre rotte migratorie, come quella del Mediterraneo orientale e occidentale, il numero stimato dall’Organizzazione mondiale delle migrazioni è 29.315. Di questi, 1.374 erano minori.

Le Organizzazioni non governative che operano missioni di ricerca e soccorso in mare denunciano che la situazione è persino peggiorata. Poco più di una settimana fa, il 23 agosto, una nave della Mediterranea Saving Humans è stata sottoposta a fermo amministrativo: aveva soccorso dieci migranti e invece di dirigersi a Genova come indicato dalle autorità, li aveva sbarcati a Trapani, il porto più vicino, data la presenza di mare mosso. Nello stesso fine settimana, la nave ong Nadir ha soccorso 54 persone migranti, tra cui 7 donne e 4 minori, che viaggiavano nel Mediterraneo centrale, trasferendole a Lampedusa. Nel gommone partito dalla Libia c’erano anche i corpi senza vita di tre sorelle di 9, 12 e 17 anni, annegate prima dell’arrivo dei soccorsi.
All’ostacolo alle missioni di soccorso delle navi umanitarie si aggiungono gli accordi con Paesi terzi per ricollocare o trattenere i migranti. Come il memorandum con la Libia, siglato nel 2017, appena due anni dopo la vicenda del piccolo Kurdi, e rinnovato per tutti gli anni a venire, sino ad oggi. I centri di detenzione libici dove Amnesty International ha riscontrato molteplici violazioni dei diritti umani vorrebbero essere un disincentivo alla partenza. Ma i dati mostrano che negli anni, il numero di persone che ha deciso di imbarcarsi comunque per raggiungere i Paesi europei è tutt’altro che calato. Nei primi otto mesi del 2025 sono sbarcati in Italia 43.580 migranti via mare, con un incremento del 2,44 per cento rispetto ai 42.544 registrati nello stesso periodo del 2024. Se i centri di detenzione funzionassero come deterrenza per le partenze, allora quest’anno, con l’inaugurazione di quelli a Shengjin in Albania, si sarebbe dovuto registrare una riduzione. Ma i viaggi nel Mediterraneo, lontano dall’essere in diminuzione, sono solo sempre più pericolosi.

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