Di padre in figlio: in Italia anche il corso di laurea è questione di eredità

I liceali orientano la scelta universitaria in base alla facoltà dei genitori, soprattutto se porta a professioni lucrose. Ma questo meccanismo blocca la mobilità e l'ascensore sociale
July 17, 2025
Di padre in figlio: in Italia anche il corso di laurea è questione di eredità
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Per alcuni figli l’eredità è un’enorme fortuna, per altri un pantano da cui è difficile – a volte impossibile – liberarsi. In Italia è vero anzitutto dal punto di vista economico: l’ultimo rapporto annuale dell’Istat analizza guadagni e livello di istruzione dei trentenni e scopre che il 60 per cento dei nati nel 1992 in famiglie di medio-basso reddito, anche da grandi, resta sotto la media del reddito nazionale e che, al contrario, coloro che hanno avuto almeno un genitore laureato hanno il 20 per cento in più di probabilità di mettersi sulla testa la corona d’alloro (e accedere a professioni più lucrose…) di chi, invece, non ha né la madre né il padre diplomati.
Uno studio finanziato con i fondi Pnrr e appena pubblicato dai ricercatori dell’università di Padova con il titolo “Intended College Major Choice and the Inheritance of Majors” aggiunge un tassello a questo quadro problematico, rivelando che nel nostro Paese i liceali orientano la scelta della facoltà universitaria proprio in base al corso di laurea seguito dai genitori. Decidere se immatricolarsi a un corso di medicina, ingegneria o giurisprudenza, in altre parole, sarebbe una scelta influenzata da quella già compiuta da chi ci ha preceduti.Secondo i dati presentati dagli studiosi – che si basano sulle informazioni raccolte nel 2024 su 4.142 studenti iscritti all’ultimo anno in 106 licei – i più coinvolti nel passaggio dell’«eredità culturale» sono i primogeniti e solo in misura minore il meccanismo riguarda i fratelli minori. L’impatto più consistente sembra provenire dal percorso di studi seguito dal padre, che aumenta del 44 per cento la probabilità che il figlio sia intenzionato a intraprendere la stessa strada. La madre, invece, influenzerebbe le decisioni dei propri ragazzi un poco di meno, intorno al 39,5 per cento. Ci sarebbe anche una differenza di genere: i padri condizionano maggiormente le intenzioni dei maschi, le madri quelle delle femmine.
Il rilievo più interessante, però, è che la persistenza intergenerazionale è più marcata per le professioni sanitarie, economia, giurisprudenza e per le discipline Stem (ovvero scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e molto meno per psicologia e per le scienze politiche e sociali. Il caso più eclatante è medicina: se in famiglia c’è almeno un dottore, la probabilità che uno studente studi per indossare il camice aumenta del 57,6 per cento.
Il fatto che i genitori siano modelli per discipline che portano a professioni generalmente più remunerative è uno snodo cruciale.
«Da un lato – commenta Lorenzo Rocco, professore ordinario di Politica economica all’università di Padova e uno degli autori dello studio – è normale che avere in casa un genitore che svolge una certa professione abbia un’influenza: significa che si parla di certi argomenti, che si conosce nel dettaglio il peso sociale e reddituale di un certo mestiere e si è più portati a seguirlo. A livello sociale, però, si crea una sorta di dinastia delle professioni che porta a una riproduzione della struttura per classi della società esistente». Già, perché avere qualcuno in famiglia che fa il proprio stesso lavoro è una fonte di informazioni preziose sia durante il percorso di studio sia per futuri sbocchi lavorativi. Può trasmettere competenze, esperienze, contatti e – per certe professioni – offrire minori costi d’ingresso e più facilità nel costruirsi rapidamente un portafoglio clienti.
Con condizioni di partenza così differenti, però, questi mestieri, che potrebbero favorire più di altri una scalata sociale, finiscono per attingere sempre dallo stesso “capitale umano”, escludendo outsider potenzialmente talentuosi, che non accedono ai corsi di studio o si trovano di fronte a pendii talmente ripidi da rivelarsi franabili.
Le scelte replicate di generazione in generazione consolidano le disuguaglianze esistenti e bloccano l’ascensore sociale. Mentre chi è a piano terra aspetta di salire con ben poche speranze di riuscire, i figli delle buone famiglie li osservano aggrappati ai piani alti dove sono cresciuti; a volte proprio dall’attico più prestigioso del palazzo nel quale possono permettersi di sedersi sugli allori preparati loro dalle generazioni precedenti. Non è bene né per gli uni né per gli altri come dimostra il caso del miliardario Bill Gates la cui decisione di non dare un dollaro (dei 160 miliardi che possiede) ai suoi, di figli, si basa sul presupposto che il proprio posto nella società è più sano faticarselo. Secondo Rocco, però, c’è un altro aspetto interessante, per ora verificato solo in modo preliminare. «I ragazzi non sembrano scegliere il corso universitario sulla base dell’aspettativa di reddito futuro ma per gusti personali e percezioni delle proprie abilità. Questo è un altro limite: in un Paese come il nostro, in cui mancano professionisti nei settori scientifici e i laureati in quelli umanistici sono più dei richiesti, lavorare sul reddito atteso, per esempio aumentando gli stipendi per le professionalità più richieste, potrebbe colmare il divario tra domanda e offerta nel mondo del lavoro. Agli studenti, però, al momento della scelta questo fattore non sembra interessare granché».

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