Come riciclare vernici sta ricostruendo lo spirito di comunità in Inghilterra
Community RePaint ha costruito una rete per il riutilizzo di vernici che copre tutto il Regno Unito. L’iniziativa raccoglie gli eccessi e li ridistribuisce a realtà che ne hanno bisogno

È capitato a tutti, prima o poi. Si ritinteggia casa, avanza un barattolo aperto di vernice, si porta in cantina per eventuali ritocchi e si lascia lì. Passano mesi, anni, e quando si decide di fare ordine o ridipingere, ci si dimentica di averlo o si sceglie un altro colore, e quel barattolo diventa ancora più vecchio, impolverato, inutilizzato. Inevitabilmente, finisce nella spazzatura. In una parola: spreco.
Eppure, quello che sembra un gesto comune, nasconde un problema. Solo nel Regno Unito, ogni anno circa 55 milioni di litri di vernice finiscono sprecati, l’equivalente di quasi 14 milioni di barattoli ancora pieni. E il dato sorprendente è che oltre il 50% di quella vernice sarebbe ancora utilizzabile. Il problema non è limitato oltremanica: anche in Italia consumiamo ogni anno milioni di chili di vernici, molte delle quali finiscono inutilizzate. Una mole che, se non correttamente gestita, diventa un rifiuto costoso da smaltire e potenzialmente dannoso per l’ambiente.
Da questa consapevolezza è nata Community RePaint, una rete per il riutilizzo delle vernici che oggi copre tutto il Regno Unito. L’iniziativa raccoglie le vernici in eccesso e le ridistribuisce a scuole, associazioni, enti, luoghi di culto o famiglie che ne hanno bisogno. La rete conta oltre 80 progetti, dall’Isola di Wight alle Highlands scozzesi, e promuove non solo il riuso, ma anche la rigenerazione del materiale. Infatti, Community RePaint produce anche un suo marchio, ReColour, realizzato separando, filtrando e rimescolando la vernice recuperata per ottenere un prodotto quasi nuovo. Giusto per dare un’idea del fenomeno, solo nel 2021 i centri della rete Community RePaint hanno rigenerato quasi 100.000 litri di vernice avanzata trasformandola in ReColour. Numeri importanti, che dimostrano come un modello di economia circolare possa funzionare anche in un settore che raramente associamo alla sostenibilità.

L’iniziativa, ha raccontato il quotidiano britannico Guardian, inizia nel 1992 a Leeds come progetto di ricerca di un consorzio di organizzazioni impegnate nella gestione dei rifiuti. L'obiettivo? Capire quanta vernice inutilizzata restasse tale e giacesse nelle case delle persone. Il risultato diede impulso all’iniziativa, perché in media, ogni famiglia aveva decine di barattoli di vernice non utilizzata; da lì partì il progetto pilota e, un anno dopo, prese vita Community RePaint. Il progetto, chiaramente, non rappresenta solo un dovere etico, ma un’opportunità economica. Il riutilizzo, infatti, costa meno dello smaltimento, e la disponibilità di un mercato per le vernici rigenerate sta cambiando anche alcune alcune logiche di settore. Questa trasformazione riflette inoltre un cambiamento più profondo: l’era di aziende che integrano pratiche sostenibili, infatti, sta lasciando in questi anni spazio a quella di aziende che trasformano attivamente il mercato per renderlo più sostenibile.
Negli ultimi decenni il concetto di sostenibilità aziendale, in questo senso, ha fatto molta strada. Come spiega bene un articolo apparso sulla Stanford Social Innovation Review di qualche anno fa, se negli anni ’70, con l’introduzione delle prime normative ambientali, si ragionava soprattutto su questioni di conformità, oggi la sostenibilità è diventata un elemento strategico legato al successo delle aziende, con addirittura figure dedicate e report annuali pensati e redati per consumatori, investitori, istituzioni.
L’economia circolare, in particolare, offre risposte concrete ad alcune delle sfide più grandi della nostra epoca, e non è un caso che anche in Italia esistano esempi interessanti a questo proposito. Per citare qualche esempio: il progetto Bio-Paint, avviato nel 2018 e cofinanziato dal Ministero dell’Ambiente, che si è concentrato sul recupero e riciclo delle vernici e dei contenitori nel settore legno-arredo. Oppure il caso di Renner Italia, che ha sviluppato un contenitore per vernici all’acqua dotato di un sacchetto interno in polietilene che protegge l’imballaggio metallico dai residui di vernice, facilitandone il riciclo a fine vita e riducendo le emissioni e l’uso di risorse. O ancora, progetti come Plastic Buster, finanziato da Fondazione Cariplo e Corepla con il patrocinio del Ministero della Transizione Ecologica, per dare una seconda vita ai secchi di plastica delle vernici ad acqua, promuovendone il riuso, anche per mini-serre idroponiche domestiche. Fino addirittura a forme di riuso creativo come quella nata dalla collaborazione tra Seletti e Pennelli Cinghiale, con la realizzazione di una linea di complementi di design a partire dalla trasformazione di vecchi secchi di vernice.
In questo scenario, iniziative come queste e come quella di Community RePaint dimostrano che il cambiamento può partire dal basso, da progetti anche locali ma capaci di generare impatti globali, trasformando un barattolo dimenticato in un’opportunità per la comunità e dando valore a ciò che prima era considerato rifiuto. Rincuorante, pensando a dove quanto spesso, invece, si distrugge.
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