Come a Norcia è rinata l'abbazia di San Benedetto distrutta dal terremoto
I monaci benedettini hanno costruito una nuova comunità, dove vivono anche alcune famiglie. Il 30 ottobre prossimo, anniversario del crollo nel 2016, verrà riaperta anche la basilica

Arriviamo a Norcia in un torrido giorno di agosto. Ci accoglie Giovanni: 35 anni, sposato, sei figli. Già imprenditore nel digitale a Milano, nel 2020, in piena era Covid, si è trasferito qui per vivere con la sua famiglia all’ombra di un monastero benedettino. Poi altre famiglie, dall’Italia e dall’estero, hanno fatto la stessa scelta, radicale e in certo modo provocatoria. Ieri come oggi il monastero attrae e indica la strada. Attorno al monastero nasce, o rinasce, la civiltà cristiana.
L’appuntamento è a Porta Romana, l’ingresso principale all’antica città di Norcia: Vetusta Nursia, come è scolpito sulla pietra, ed era antica già ai tempi di Benedetto e Gregorio Magno. Il corso principale, costellato da un nugolo di ristoranti e negozi che propongono il meglio della norcineria, porta dritto al cuore della città, piazza San Benedetto, dove si erge la statua del santo che con una mano indica il cielo.
Alle sue spalle, la facciata della basilica che custodisce il luogo della sua nascita. Lì, dal 2000 fino alla scossa del 24 agosto 2016, ha vissuto la comunità di monaci fondata dal benedettino americano Dom Cassiano Folsom e ora guidata dal primo abate, statunitense anche lui, il Reverendissimo Dom Benedetto Nivakoff. I loro confratelli, una ventina, sono di diverse nazionalità.
Da poche settimane le impalcature sono state rimosse e la facciata, con il suo rosone e le guglie, è tornata di nuovo visibile: un restauro eseguito a regola d’arte, una parte piccola ma altamente simbolica del più grande cantiere d’Europa, quello aperto nel Centro Italia dopo il rovinoso sisma del 2016 che coinvolse quattro regioni e che tiene ancora fuori dalle loro case diecimila nuclei familiari.
La basilica sarà riaperta il 30 ottobre, anniversario della seconda grande scossa, quella che la fece crollare. Ma i figli di Benedetto, i monaci, oggi dove sono? Giovanni ci fa strada: «Salite in macchina, vi porto all’abbazia». Quando nel 2016 la basilica è crollata e il monastero annesso è stato gravemente danneggiato, i monaci hanno deciso di costruire la loro nuova casa non più nel centro di Norcia, ma un po’ fuori, sul fianco della montagna: hanno chiamato il nuovo monastero San Benedetto in Monte. In pochi anni, con l’aiuto di molti, hanno restaurato in maniera imponente i ruderi di un antico complesso cappuccino da tempo in rovina. La scorsa estate il monastero è stato inaugurato e l’ordine benedettino l’ha elevato ad abbazia.

Il tragitto in auto è breve, ma Giovanni propone una tappa intermedia: due casette di legno sono la prima sede della scuola che da poco i monaci hanno avviato per rispondere all’esigenza delle giovani famiglie che fanno riferimento all’abbazia e da tempo cercavano il modo per offrire ai figli un’educazione radicata nella fede cristiana. Le aule sono minuscole, due o tre banchi ciascuna. Ma dietro le due casette di legno c’è un cantiere: già si stanno alzando le mura della prossima sede della scuola. Pragmatismo benedettino.
All’abbazia un monaco ci accoglie in portineria, dove sono in vendita libri, oggetti d’arte e diverse tipologie della Birra Nursia, la birra artigianale dei benedettini di Norcia. Pluripremiata (solo quest’anno ha ottenuto tre riconoscimenti internazionali e un premio per l’utilizzo di ingredienti italiani), può essere ordinata anche online e con i suoi proventi contribuisce a sostenere la vita e le opere della comunità.
Dopo una breve ma ripida salita a piedi, arriviamo davanti alla chiesa. I monaci hanno allestito un tendone per accogliere i fedeli fino a fine agosto, in questo periodo il clima permette di celebrare all’esterno e la domenica l’afflusso è enorme: arrivano centinaia di persone, l’antica chiesa restaurata è piccola e non può contenere tutti.
Entriamo in chiesa per recitare l’Ora Sesta, l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo, oggi ospite dei monaci, siede di fronte al padre abate. I due prelati e i monaci cantano antifone e salmi in latino. Poi, in una processione solenne e ordinata, tutti escono dalla chiesa e si avviano verso il refettorio per il pranzo.
L’anno scorso, quando i confratelli l’hanno eletto abate, Dom Benedetto Nivakoff ha scelto come motto le parole Deus providebit, “Dio provvederà”. È la risposta di Abramo al figlio Isacco che, preparato il necessario per offrire il sacrificio, chiede al padre: «Chi provvederà l’animale per l’olocausto?».
Una risposta di totale fiducia in Dio. E in questi luoghi appare evidente che Dio ha provveduto e sta continuando a provvedere, si prende cura di questi monaci e della gente che ha scelto di stringersi attorno a loro. Nel nome di San Benedetto, per vivere nel mondo con gli occhi puntati verso il cielo.
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