Ciò che manca agli studenti italiani per riconoscere le fake news
Competenze digitali, fonti giornalistiche e dibattito in aula è la risposta dell'Osservatorio for indipendent thiking, che ha lanciato una piattaforma per trovare una soluzione

Distinguere il falso dal vero. E il vero dal verosimile. Per Tucidide, lo storico greco che ha raccontato la guerra tra Atene e Sparta, era un esercizio che passava dall’ascolto dei testimoni e dall’esclusione del mito dalla storia. Per i docenti, oggi, è una priorità ostacolata da algoritmi e disinformazione: secondo una indagine Ipsos, quasi un giovane su tre in Italia mette “like” alle fake news sui social network, nonostante il 70% ritenga di saper separare le notizie vere da quelle false. Tradotto: il problema, per gli studenti, non è informarsi ma sapersi informare. «Con l’avvento dell’intelligenza artificiale rischiamo tutti di mandare il nostro cervello al macero: per questo, serve una didattica che stimoli al pensiero critico», commenta Andrea Ceccherini, presidente dell’Osservatorio for indipendent thinking, che stamani ha presentato a Milano il progetto internazionale di educazione all’informazione digitale “Doubt and Debate”, che entrerà in 6.000 classi italiane a partire dal prossimo 10 novembre.
Si tratta di una iniziativa per «allenare i ragazzi a distinguere le notizie vere da quelle false – aggiunge Ceccherini –, i fatti dalle opinioni e aprirli ai diversi punti di vista con cui la stessa notizia può essere raccontata». In pratica, sono venti lezioni gratuite che saranno messe a disposizione di 4.400 docenti e circa 150.000 studenti da lunedì prossimo. Le prime dieci saranno utili a fornire agli alunni gli strumenti fondamentali per comprendere le regole della rete o, secondo Ceccherini «la scatola magica in cui trascorrono molte ore al giorno senza capirne il funzionamento»: si concentreranno su algoritmi, eco chamber (le “bolle” in cui le opinioni vengono rafforzate dai contenuti e dalle interazioni che le confermano) e disinformazione online, offrendo video introduttivi per gli studenti e strumenti didattici per i docenti. «Ci ispiriamo a Montessori – commenta Ceccherini –. La didattica, per apprendere davvero, deve essere attiva e piena di laboratori. L’importante è che imparino agendo e dibattendo».
Il cuore del progetto, però, sono le successive dieci lezioni di media literacy (educazione all’informazione, in italiano), un vero e proprio laboratorio di giornalismo. «Il mondo è più complesso e dobbiamo chiamare la scuola a raccolta su questi temi – ragiona il presidente dell’Osservatorio –. Con queste lezioni, a fianco degli insegnanti, vogliamo rendere le giovani generazioni capaci di sviluppare un proprio pensiero critico». Il meccanismo è semplice: con la collaborazione di decine di testate giornalistiche italiane e internazionali, la piattaforma “Doubt and Debate” aggrega articoli e video (già pubblicati online), da cui gli alunni prenderanno le mosse per organizzare un dibattito in classe. «Prendiamo, per esempio, la lezione incentrata sull’Ucraina – spiega Ceccherini –. Al termine della fase informativa, la classe sarà divisa in tre: un gruppo sosterrà le posizioni di Mosca, uno quelle di Kiev e un terzo sarà giudice imparziale tra le due parti. Al termine del dibattito, i ruoli si invertiranno: in questo modo, vogliamo sviluppare il processo critico e alimentare il dubbio tra i giovani».
Per informare gli studenti, “Doubt and Debate” farà soltanto uso di articoli e video realizzati da testate giornalistiche: «Andiamo controvento rispetto al consumo giovanile – aggiunge Ceccherini – che attinge prevalentemente a social network e influencer». Al momento, per stessa ammissione del presidente dell’Osservatorio for indipendent thinking, al progetto manca una sezione dedicata allo studio dell’intelligenza artificiale e al suo impiego nel lavoro: «Ci stiamo lavorando ma non siamo ancora pronti per l’IA», confessa Ceccherini. Dopo un primo anno di sperimentazione, invece, le venti lezioni ora sono complete e saranno disponibili gratuitamente per le classi che ne hanno già fatto richiesta: «Nel 2025/26 abbiamo iniziato con un numero chiuso. Ma le scuole che si sono iscritte non dovranno pagare niente – commenta Ceccherini – grazie al supporto offerto da Tim nel nostro Paese così come da Santander in Spagna e Unicredit in Germania».

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