Ci sono due bimbi di pochi mesi in cella a Bollate con le loro madri. Perché?
di Redazione
Sono 5 in tutta la regione i minori di sei anni. Sacerdote (Bambini SenzaSbarre): un trauma che segna per lungo tempo

Di reati, loro, non ne hanno commessi. D’altronde sono bambini, a volte di pochi mesi e al massimo entro i sei anni d’età, eppure la loro quotidianità è delimitata dal perimetro di una cella e, tra ore d’aria e attività trattamentali, al massimo dalle mura del penitenziario. Se si guardasse alla fredda contabilità, i dati apparirebbero residuali; ma ci sono storie e vite, dietro quelle cifre. A fine agosto, stando alle ultime rilevazioni del ministero della Giustizia, nelle carceri lombarde erano ospitate anche quattro madri con i propri figli, cinque bimbi in tutto perché in un caso i piccoli al seguito della mamma erano due. Succede in particolare a Milano: tre madri, con cinque pargoli, erano a Bollate; un’altra donna, con un solo bimbo, a San Vittore. Negli ultimi anni le oscillazioni sono lievi, ma testimoniano un fenomeno che resiste: prendendo come riferimento sempre la stessa data del 31 agosto, nel 2024 le madri erano sei (con sette figli), nel 2023 erano 5, nel 2022 quattro; se si torna indietro, appena prima del Covid, nel 2019 erano invece ben tredici, con altrettanti minori.
«La prospettiva securitaria del carcere sembra rassicuri la cittadinanza, invece penalizza e basta questi bambini», riflette Lia Sacerdote, presidente dell’associazione BambiniSenzaSbarre che da oltre vent’anni dedica il proprio impegno alla tutela della genitorialità anche tra le persone private della libertà. È cambiato qualcosa in tempi recenti, almeno sulla carta, perché da giugno è a tutti gli effetti in vigore il Decreto Sicurezza: se prima il rinvio della pena per le donne in gravidanza e per le madri con figli sotto i tre anni era obbligatorio, ora questa “proroga” è diventata facoltativa, cioè a discrezione del giudice, e quindi si potrebbe assistere a un incremento dei numeri. «La carcerazione è un’esperienza che segna profondamente i bambini, sia quando all’interno c’è un genitore e ancor di più quando anche loro vivono la detenzione – prosegue Sacerdote -. È un trauma che il bambino, e poi il ragazzo, può portare con sé a lungo, con rischi legati alla dispersione scolastica e all’emarginazione: i bambini non dovrebbero stare in carcere».
Che il problema sia rilevante lo dimostra anche una sensazione sedimentata tra la polizia penitenziaria, costantemente a contatto con i detenuti. Di «situazioni che intristiscono le nostre coscienze» ha parlato nei giorni scorsi Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, a proposito del caso di «due bambini di pochi mesi in cella con le loro mamme a Bollate» (rispetto al report ministeriale di fine agosto, infatti, nel frattempo una madre ha lasciato l’istituto). Bollate, spiega De Fazio, «rappresenta ancora un modello da imitare nel panorama nazionale», seppur il sovraffollamento (1.383 reclusi a fronte di 1.266 posti) e la carenza d’organico (414 agenti quando ne servirebbero 681) «mettono a dura prova la tenuta organizzativa che si regge solo sul sacrificio, la dedizione e la capacità del personale e di chi lo dirige».
La genitorialità è «uno degli elementi più impattanti della reclusione», ragiona ancora Sacerdote. C’è naturalmente un’altra prospettiva – complementare e altrettanto rilevante – accanto alle vicende delle madri detenute con la prole: quella dei figli che stanno all’esterno mentre un genitore è agli arresti. In Lombardia circa un terzo dei detenuti ha un figlio e addirittura sono circa 400 i reclusi con famiglie numerose, cioè con almeno quattro figli. «Solitamente questo aspetto viene trascurato rispetto ad altri che appaiono più urgenti per il reinserimento, come la casa e il lavoro – prosegue Sacerdote -. Invece, se non c’è attenzione all’elemento della genitorialità tutto il progetto educativo fallisce. È una sensibilità duplice, rivolta sia a chi è dentro sia a chi è fuori. Il mantenimento della relazione è fondamentale per la crescita dei ragazzi e per il percorso dei padri e delle madri».
© RIPRODUZIONE RISERVATA






