C'è il rischio di una bolla sull'intelligenza artificiale?

Grandi annunci, miliardi di dollari investiti, il nodo ricavi: dentro la febbre dell'oro per l'Ia si nascondono potenzialità enormi e dubbi (anche) finanziari
October 20, 2025
C'è il rischio di una bolla sull'intelligenza artificiale?
Quanto vale davvero l’intelligenza artificiale? E quanto sono giustificate le aspettative di guadagno legate al suo sviluppo? A guardare gli investimenti annunciati dalle compagnie del Big Tech sembrerebbe non esserci dubbi: il futuro è nell’IA. Ma quanto è lontano questo futuro? E non c’è il rischio che la bolla, ormai ingigantita, scoppi prima di produrre risultati? C’è già chi ricorda quanto accaduto con le dotcom di fine anni Novanta, chi cita la crisi finanziaria del 2008 legata all’immobiliare. Certo è che ormai anche istituzioni come il Fondo monetario internazionale e la Banca d’Inghilterra guardano con crescente inquietudine all’euforia verso l’intelligenza artificiale. «Il sentiment rialzista del mercato sul potenziale di miglioramento della produttività dell’IA potrebbe cambiare bruscamente, colpendo l’economia mondiale», ha scandito questa settimana la direttrice generale del Fmi, Kristalina Georgieva. In altre parole, il rischio di una improvvisa «correzione» al ribasso non è più un’ipotesi remota.
Gli investimenti
La parabola dell’IA ha assunto i tratti di una nuova febbre dell’oro. Nvidia, la società Usa leader nella produzione dei chip, ha superato i 4.500 miliardi di dollari di capitalizzazione: a settembre ha annunciato che investirà 100 miliardi di dollari, circa 85 miliardi di euro, in OpenAI, la startup creatrice di ChatGPT. L’accordo prevede la fornitura di chip da Nvidia a OpenAI, in cambio di una ricca partecipazione all’interno dell’assetto proprietario dell’azienda. Anche l’altro grande produttore di semiconduttori, Amd, ha appena annunciato una partnership importante con OpenAI legata ai data center, le grosse strutture per l’elaborazione dei dati che servono a far funzionare i software di IA. Per non parlare del progetto Stargate da 500 miliardi di dollari che coinvolge OpenAI, Oracle, Softbank e il fondo emiratino MGX. O dei miliardi di dollari investiti negli ultimi anni da Microsoft. Quest'anno e il prossimo, i soli Google, Amazon, Microsoft e Meta investiranno in totale 750 miliardi di dollari in data center. Secondo Morgan Stanley, la spesa globale totale in questo settore raggiungerà i 3.000 miliardi di dollari entro il 2029. Ma gli investitori si chiedono sempre più spesso: quali rendimenti genererà questo immenso esborso di capitale?
Soldi, soldi, soldi. Le valutazioni di Borsa sono già a livelli che ricordano da vicino l’euforia pre-2000. Non solo per le società big tech, ma anche per le startup che orbitano nel settore, spesso ancora lontane da un modello di business sostenibile. In totale, gli investimenti di venture capital in IA superavano già nel 2024 i 70 miliardi di dollari, con un incremento del 40% rispetto all’anno precedente: quest’anno siamo già oltre i 200 miliardi. Alcune operazioni hanno assunto contorni paradossali: società che non hanno ancora prodotto ricavi vengono valutate oltre un miliardo di dollari, mentre le quotazioni in Borsa sono giustificate da prospettive di guadagno che si collocano a dieci anni nel futuro. Il pericolo bolla, per una buona parte, è legato proprio questo. Se gli investimenti in questo campo hanno raggiunto un volume tale da trainare l’economia Usa e sono oggi responsabili del 40% della crescita del Pil Usa, il diffondersi dei timori legati a dubbi sui ritorni degli investimenti potrebbe scoppiare all’improvviso, con conseguenze sistemiche imprevedibili.
Eppure, la narrazione legata all’IA resta oggi potentemente seduttiva. Sam Altman, fondatore di OpenAI, ha definito l’IA «la più grande opportunità economica dai tempi dell’elettricità», e continua a sostenere che la bolla, se c’è, «è una fase necessaria di accelerazione». Il proprietario di Amazon Jeff Bezos, più prudente, invita a distinguere tra entusiasmo tecnologico e speculazione finanziaria, ricordando come ogni innovazione radicale attraversi una curva di euforia prima di consolidarsi. «Questa dell’IA è una sorta di bolla industriale, diversa dalle bolle finanziarie. Le bolle industriali non sono affatto così dannose, possono perfino rivelarsi positive, perché quando la polvere si posa e si vede chi sono i vincitori, la società beneficia di quelle invenzioni», ha evidenziato Bezos, mentre analisti e investitori si dividono tra chi prevede un crollo imminente e chi scommette sulla solidità strutturale del settore.
La produttività
Già con le dotcom si parlava di una rivoluzione destinata a cambiare il mondo. Internet doveva trasformare ogni settore produttivo, e così nel tempo è stato, ma la frenesia speculativa finì per travolgere aziende senza fondamenta. Oggi i colossi dell’IA generano profitti reali e gestiscono infrastrutture cruciali per l’economia digitale. Tuttavia, la concentrazione estrema del potere economico e tecnologico in poche mani e la dipendenza globale dai loro algoritmi alimentano nuove vulnerabilità. Anche dal punto di vista della crescita della produttività, i risultati che si otterranno con l’IA non sono scontati. Secondo il Nobel Daron Acemoglu del Mit, assisteremo a un aumento della produttività «non irrilevante ma modesto», di circa lo 0,7 per cento del Pil, nei prossimi dieci anni. Altro aspetto: milioni di persone usano l’IA ogni giorno, ma in pochi sono disposti a spendere per le versioni a pagamento. Secondo uno studio del fondo d’investimento Menlo Ventures, il 97% degli utenti si limita alle versioni gratuite di ChatGPT o Google Gemini, un problema per le aziende del settore.
La Banca d’Inghilterra ha parlato di «rischio crescente per la stabilità finanziaria globale» se i mercati dovessero improvvisamente ridimensionare le aspettative sull’impatto economico dell’IA. In pratica, se la fiducia collettiva nel futuro dell’IA si incrinasse, il contraccolpo non riguarderebbe solo le tech company, ma l’intero sistema di credito, le Borse e i fondi pensione che oggi sono fortemente esposti al settore. Anche le dinamiche occupazionali e produttive giocano un ruolo ambiguo. Le promesse di efficienza e di aumento della produttività, su cui si fondano molte valutazioni, non si sono ancora tradotte in dati concreti. È possibile che il valore reale dell’IA emerga solo in un arco temporale più lungo, mentre nel breve l’aspettativa di guadagni immediati gonfia i prezzi degli asset. La stessa OpenAI supera ormai ricavi per 1 miliardo di dollari al mese, ma ciononostante l'azienda resta non redditizia: la perdita attesa per quest’anno è di 8 miliardi di dollari. In generale, OpenAI afferma di aver bisogno di almeno 1.000 miliardi di dollari da investire in data center, una cifra enorme se paragonata ai suoi ricavi. Dal lancio di ChatGPT, l'indice S&P 500 è cresciuto di quasi due terzi, con solo sette aziende – tutte con investimenti massicci nell'IA – che hanno generato oltre la metà di questa crescita. Anche le azioni di Nvidia vengono scambiate a circa 55 volte gli utili, quasi il doppio rispetto a dieci anni fa.
La percezione
C’è infine un elemento psicologico che il Fmi invita a non sottovalutare: la “narrativa salvifica” che accompagna ogni nuova tecnologia. L’idea che l’IA possa risolvere problemi endemici della produttività e della crescita rischia di distorcere la percezione del rischio. Secondo il Fmi, «i mercati potrebbero subire un brusco ribasso se l'intelligenza artificiale non riuscisse a giustificare le elevate aspettative di profitto. Questo frenerebbe i consumi, con effetti negativi che potrebbero riverberarsi sul sistema finanziario».
Il confine tra entusiasmo e illusione, nella storia del capitalismo, è sempre sottile: basta una crepa nel racconto per far svanire in un istante miliardi di dollari di valore. La convinzione di fine anni Novanta secondo cui Internet sarebbe diventata una tecnologia trasformativa alla fine si è rivelata corretta, ma gli investitori della bolla delle dotcom si sbagliavano su chi sarebbero stati i veri vincitori e sui loro tempi di riuscita. Resta da capire se e quando l’IA saprà trasformare le aspettative in risultati reali. O se i mercati, sull’onda dell’entusiasmo, si accorgeranno troppo tardi di aver semplicemente corso troppo in avanti.

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