Aumenta la violenza tra i minorenni, ma non parliamo di "baby gang"
Il termine, secondo i criminologi, è fuorviante: «I reati aumentano in ogni classe sociale, ma non tutte sono bande. Sui social si fa profitto sui crimini»

Un gruppo di ragazzi rapisce, tortura e costringe un quindicenne con disabilità a gettarsi nel fiume Dora. Le violenze agite da tre minorenni nella notte di Halloween in provincia di Torino hanno aperto, di nuovo, il dossier della criminalità minorile organizzata in Italia. Con una domanda che si ripete uguale a se stessa da anni: l’aumento della delinquenza adolescenziale nelle città è reale o percepito? La risposta, in parte, arriva dall’indagine annuale sulla popolazione italiana di Eurispes, che rivela come oltre un cittadino su due (il 52,5%) ritenga che “baby gang” e teppismo siano in aumento nella propria zona di residenza. Ma non si tratta solo di una impressione. Secondo i dati del dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, le denunce a carico di minori dal 2019 (ovvero prima del Covid-19) al 2024 sono aumentate del 30%. In particolare, un arrestato su quattro per rapina in Italia ha un’età inferiore ai 18 anni. «Non sappiamo se questa impennata post-pandemica sia un fatto momentaneo o una tendenza stabile, ma sappiamo che l’azione violenta, anche organizzata, è in crescita. E il primo motivo è che non stiamo affrontando il fenomeno come collettività». A commentare i dati è Ernesto Ugo Savona, professore di Criminologia all’università Cattolica di Milano e direttore del centro di ricerca Transcrime che, nel 2022, ha redatto l’ultimo rapporto sulle gang giovanili in Italia.
Una premessa: “baby gang”, secondo il docente, è una definizione «fuorviante». «Il termine ormai permea il linguaggio mediatico – commenta – ma si tratta di una definizione larga in cui facciamo entrare di tutto: sia le organizzazioni casuali e non permanenti sia quelle ordinate e durature». La maggior parte delle gang giovanili – riporta il report Transcrime del 2022 – sono composte da meno di dieci membri, in prevalenza maschi e con un’età compresa tra i 15 e i 17 anni. Perlopiù, sono cittadini italiani. «In alcuni casi si tratta di violenze occasionali – spiega Savona – ma i gruppi più organizzati possono anche perpetrare violenza per due o tre anni, mantenendo sempre la stessa composizione di adolescenti».
Le azioni delle gang giovanili, secondo il ricercatore, «sono ogni anno più violente» e i reati contestati più frequentemente sono percosse, lesioni e danneggiamento. Non sempre i crimini nascono da condizioni di marginalità socioeconomica: «Abbiamo registrato molti crimini anche tra le classi sociali più alte – continua Savona –. Per questi giovani, spesso è importante che la violenza sia riprodotta su internet. È una novità degli ultimi anni: abbiamo notato bande che si organizzano e si picchiano soltanto per farsi riprendere e far circolare i filmati sui social network, che consentono inserzioni pubblicitarie. In questo senso la violenza paga, anche letteralmente».
In molti altri casi, però, a incentivare la formazione di gang criminali giovanili sono rapporti problematici con l’ambiente familiare, scolastico e comunitario. A pagare il prezzo più alto dei disagi socio-economici sono i minorenni con background migratorio che formano, più spesso nel Nord e nel Centro Italia, gang ispirate a bande estere. I gruppi che intrattengono veri e propri legami con organizzazioni criminali, invece, si trovano perlopiù al Sud e sono composti quasi totalmente da minori italiani. In entrambi i contesti, le formazioni più radicate e durature si sviluppano dove non arriva la scuola: «Dobbiamo investire di più nel contrasto alla dispersione scolastica – contesta il professore della Cattolica –. In Italia si spendono moltissimi soldi per singoli strumenti e iniziative isolate, ma non facciamo rete: dobbiamo prendere atto che il contrasto alla criminalità degli adolescenti è una priorità per il nostro Paese». Un contrasto che non passa, secondo il report Transcrime, dalla sola repressione: «Quando sono persone di 10 anni a commettere questi crimini – conclude Savona – gli Istituti penali per minorenni, che sono residuali, non possono risolvere tutti i problemi. Serve mettere al centro scuola, comunità e famiglia».
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