«Abolire l’atomica non è utopia. Usa e Russia parlino con i fatti»

Melissa Parke, direttrice esecutiva di Ican, dalle commemorazioni in Giappone: milioni di danni a persone e ambiente in questi anni. La minaccia c'è ancora oggi e la deterrenza non è servita
August 5, 2025
«Abolire l’atomica non è utopia. Usa e Russia parlino con i fatti»
Melissa Parke, direttrice esecutiva di Ican
«Il mondo non ha bisogno di un’altra crisi missilistica cubana: è stato solo per fortuna che siamo sopravvissuti alla prima. È tempo che i leader russi e statunitensi attenuino le minacce e si incontrino per negoziare il disarmo», è l’allarme lanciato da Melissa Parke, direttrice esecutiva di Ican, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari vincitrice del Premio Nobel per la Pace. Un appello, il suo, lanciato a commento del recente annuncio di Donald Trump sul dispiegamento di due sottomarini nucleari dopo le dichiarazioni dell’ex presidente russo Dmitrij Medvedev e nei giorni dell’80° anniversario dell’inizio dell’era nucleare. Tra Hiroshima, Nagasaki e Osaka, Parke sta partecipando agli eventi di commemorazione della strage del ‘45 e di promozione del Trattato per l’abolizione delle armi nucleari: un testo di cui anche il Vaticano è uno dei primi firmatari. Ad Avvenire racconta i danni inflitti dalle armi nucleari da quando esistono e perché oggi la loro eliminazione è più urgente che mai.
C’è un gap tra quello che i leader mondiali dicono e fanno a proposito del disimpegno nucleare?
Sì, un divario significativo. Trump, per esempio, dice di voler avviare colloqui sulla denuclearizzazione con Russia e Cina, e anche Mosca si è detta aperta, ma allo stesso tempo gli Stati Uniti stanno aumentando la spesa per il programma degli armamenti nucleari. I leader dei due Stati che detengono insieme circa il 90% di queste armi devono far corrispondere le parole alle azioni, incontrarsi e dialogare. E penso che questo 80° anniversario sia un’ottima occasione per farlo.
Che cosa spera si ottenga in questo anniversario?
Vorrei si riconoscesse che le armi nucleari non sono state usate solo due volte, ma hanno creato milioni di danni a persone e ambiente da quando furono testate la prima volta nel New Mexico fino a oggi con gli oltre 2mila test effettuati in questi 80 anni in diverse parti del mondo. Vorrei si sottolineasse che, contrariamente a quanto si racconta, quelle due bombe non portarono alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma alla dichiarazione di guerra dell’Unione Sovietica contro il Giappone. L’obiettivo principale per noi è l’abolizione delle armi atomiche. Il Trattato Onu sulla Proibizione delle Armi Nucleari ci indica una strada per raggiungere questo scopo. Metà del mondo vi ha già aderito e a settembre raggiungeremo la maggioranza. Quindi uno dei messaggi che cerco di dare agli eventi in Giappone è che il disarmo non è utopico. È esistenziale, è un imperativo di sicurezza globale. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo parlare della nostra sicurezza umana comune e non di distruzione reciproca. La minaccia costante è un rischio per tutti.

I governi però dicono che possedere le armi nucleari serve per la deterrenza e quindi la sicurezza.
Penso che la deterrenza sia una teoria profondamente sbagliata perché si basa sull’ipotesi che tutti agiscano in modo razionale e prevedibile, che tutti siano in possesso delle informazioni complete. Nella realtà non è così, soprattutto nel contesto attuale di sfiducia e mancanza di comunicazione. La fortuna non può essere una strategia. La domanda non è se la deterrenza possa funzionare, ma se possa fallire. I suoi effetti sulle persone e l’ambiente li conosciamo già e un solo fallimento sarebbe sufficiente per distruggere il mondo.
Quali sono le iniziative che avete ideato per risvegliare le coscienze in questa occasione?
Sono già stata in New Mexico per ricordare che il luogo del Trinity test, quel 16 luglio del 1945, non era un deserto vuoto come sosteneva il governo, ma la casa di molte persone che hanno dovuto affrontare generazioni di tumori e malattie. Sto proseguendo il mio viaggio in Giappone, e poi andrò in Corea, perché una parte delle vittime dei bombardamenti era coreana e si trovava nel Paese nipponico in quanto costretta ai lavori forzati. Ican ha lanciato diverse iniziative, ma voglio citare soprattutto un “Memoriale online dei bambini”, che onora i 38mila piccoli uccisi nei bombardamenti atomici. Con questo memoriale speriamo di ricordare che i bimbi sono i più vulnerabili agli effetti delle armi nucleari, con i loro corpi più piccoli, la pelle più sottile e la loro dipendenza dagli adulti per la sopravvivenza.

Chi sono gli Hibakusha e cosa ci insegnano con le loro storie?

Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, hanno dovuto affrontare sfide come malattie, difetti congeniti e discriminazioni, dato che li credevano pure contagiosi. Ma sono proprio le persone sopravvissute alle armi atomiche in tutto il mondo che hanno contribuito alla nascita del Trattato Onu per la loro messa al bando. L’età media degli Hibakusha giapponesi è di 86 anni e vorremmo che mentre sono ancora in vita potessero vedere quello che hanno sempre chiesto: l’abolizione delle armi nucleari. In questa occasione voglio ricordare anche le vittime dei test. Sono tante le storie che ho incontrato in questi anni con Ican. Da australiana, per esempio, mi ha sempre colpito quella di Yumi Lester che rimase cieco per i test nel Paese quando era solo un ragazzino e poi si batté contro le armi nucleari per il resto della sua vita insieme alla figlia. In questo anniversario cercheremo di amplificare il suo messaggio e quello di tutti gli altri sopravvissuti: “Nessuno dovrebbe mai affrontare quello che ho passato io”.

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