mercoledì 19 dicembre 2018
Il padre di Carolina: ci siamo battuti perché non ci fosse una legge punitiva. Ora va nelle scuole a sensibilizzare i ragazzi sui rischi di un uso non corretto del web
Carolina in una foto tratta dal suo profilo Facebook

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Reato estinto per i cinque ragazzi coinvolti nel suicidio di Carolina Picchio, la 14enne che nel 2013 si lanciò dalla finestra di casa dopo essere stata vittima di episodi di cyberbullismo. Accusati a vario titolo di atti persecutori, violenza sessuale di gruppo, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, diffamazione, morte come conseguenza di altro reato, i cinque avevano ottenuto la messa in prova. Oggi il tribunale dei minori ha preso atto del ravvedimento. Dei reati compiuti non ci sarà quindi più traccia.

Quello di Carolina è diventato un caso simbolo di cyberbullismo. La storia di un ex fidanzatino arrabbiato che,dopo la fine della relazione, aveva cominciato a scagliare offese. Poi un video, girato con un cellulare, in cui la ragazzina compariva in atteggiamenti intimi, fatto circolare su whatsapp. Settimane di ingiurie, sberleffi, parole infamanti. Un peso insopportabile per la 14enne che, il 5 gennaio 2013, si lanciò dalla finestra della sua abitazione, a Novara. Proprio a Carolina Picchio è dedicata la legge sul cyberbullismo approvatalo scorso anno.

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Il papà: il carcere non risolve, noi andiamo nelle scuole

«Oggi si è chiuso un cerchio, la magistratura fa il suo corso e io mi rimetto alla decisione del tribunale», ha detto all'agenzia Adnkronos il papà di Carolina, Paolo Picchio.

«Carolina l'ho persa in ogni modo» aggiunge il papà che anche oggi è stato in una scuola per sensibilizzare i ragazzi sui rischi che può comportare un uso non corretto del web. «Per quello che è successo provo un grande dolore così come per il fatto che ci siano 5 giovani che l'hanno portata a compiere quel gesto che mai nessuno dovrebbe compiere. Però un processo c'è stato, sono stati giudicati e il fatto che abbiano seguito percorsi di recupero e che ne sia stata verificata la capacità di aver compreso la gravità del loro comportamento è importante. Il carcere può dare la sensazione di risolvere perché dà una risposta emotiva, ma non ricostruisce e non riqualifica queste persone; non a caso noi ci siamo battuti perché non ci fosse una legge punitiva».

«Con il suo gesto e con la lettera che ha lasciato, Carolina è diventata un simbolo, ha portato alla luce qualcosa di cui in quel momento non si parlava, ha buttato in faccia all'opinione pubblica che i ragazzi si stavano facendo del male e ha permesso che in Italia ci fosse la prima legge sul cyberbullismo - conclude Paolo Picchio - per questo noi continuiamo ad andare tra i ragazzi a spiegare che pubblicare foto discinte di coetanei, postare frasi ingiuriose è reato nella speranza che ci sia la consapevolezza e che simili comportamenti non vengano più sottovalutati».

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