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Perché Pelé è Pelé ed è uomo luminoso

Mauro Berruto mercoledì 4 gennaio 2023
Quest’ultima settimana ha segnato, probabilmente, la definitiva fine del Novecento sportivo. La scomparsa di Edson Arantes do Nascimento, conosciuto dal mondo intero come Pelé, ha permesso l’ultimo esercizio nostalgico di ricordare i record probabilmente imbattibili di questo campione: unico calciatore a vincere per tre volte il titolo mondiale, pallone d’oro del secolo per la Fifa, 1.281 goal realizzati in 1.363 partite e addirittura il non-goal più bello della storia del calcio, quando con un dribbling “fantasma” nella partita contro l’Uruguay nel Mondiale del 1970, “O Rey” lasciò passare il pallone, senza toccarlo, alla sinistra del portiere uruguagio e accelerò la sua corsa sul lato opposto, disorientando il portiere e la difesa intera, per poi ritrovare il pallone e concludere verso la porta avversaria, mancando il goal per una spanna. Nessun non-goal è mai stato visto e celebrato così tante volte. Il padre di Pelé, Joao Ramos do Nascimento, ex calciatore noto come Dondinho, aveva in realtà deciso di chiamare suo figlio Edison in omaggio a Thomas Edison, colui che, nel 1879, inventò la lampadina. All’anagrafe di Três Corações, tuttavia, si verificò un errore: Edison, nella trascrizione, perse una “i” divenendo Edson. E nulla succede per caso, perché, come ha scritto nella riga più bella in memoria di questo calciatore straordinario la giornalista Emanuela Audisio, Pelé ha effettivamente illuminato il calcio. In suo onore, in questi giorni, sono stati illuminati, a Rio de Janeiro, lo stadio Maracanà e l’enorme statua del Cristo Redentore, sulla collina del Corcovado, con i colori gialloverdi del Brasile che, proprio durante l’insediamento del presidente Lula, ha decretato tre giorni di lutto nazionale. Quando succedono queste cose viene da pensare se sia troppo, se uno sportivo meriti davvero questo tipo di celebrazione. La risposta (almeno la mia, nel rispetto del libero pensiero) è sì. Perché Pelé è uno di quella manciata di sportivi del mondo che è stato capace di ispirare miliardi di persone. Non tutti gli sportivi sono in grado di farlo, soprattutto non tutti gli sportivi sono in grado di farlo con la grazia, con la bontà d’animo, con l’umiltà e con la bellezza di cui è stato capace Pelé. In sostanza, non si celebra la scomparsa di un uomo, ma quello che quell’uomo è stato in grado di donare a miliardi di persone. Pelè negli ultimi anni della sua carriera disputava match amichevoli in giro per il mondo per donare a tutti quella bellezza. In un’occasione, in Colombia, venne espulso, ma i tifosi infuriati, lì solo per lui, ottennero il suo reintegro in campo (e l’allontanamento dell’arbitro!), mentre in occasione di un’amichevole a Lagos, in Nigeria, venne siglata una tregua di 48h della guerra civile per permettere a tutti di vederlo giocare. Ecco perché è stato celebrato un campione sportivo lungo tutta questa settimana dopo la sua scomparsa: per la bellezza che è stato capace di donare al mondo, per la sua umiltà probabilmente frutto del suo essere stato un uomo di fede, senza mai il timore di nasconderlo, per avere trasformato quel calzino riempito di carta e di stracci e legato con un laccio con cui aveva iniziato a giocare a calcio, in un pallone d’oro, quello assegnatogli dalla Fifa. Insomma, celebriamo lui per il bene che ha fatto a noi, e in particolare a quei tanti ultimi che hanno in visto in lui l’icona della possibilità di farcela. © riproduzione riservata