Opinioni

Corsie affollate dopo la scissione M5s. Tante manovre fuori centro

Marco Iasevoli giovedì 23 giugno 2022

Anche il Movimento senza correnti, che riconosceva al proprio interno solo "anime" e non sotto-organizzazioni del consenso, ha vissuto la più classica delle scissioni legate alla linea politica. Cade una delle ultime distinzioni tra "vecchi" e "nuovi" partiti, ora simili anche in un dato culturale, prima che politico: l’incapacità di stare insieme, di essere "maggioranza" e "minoranza" dentro una cornice comune, di trovare sintesi avanzate rispetto alle posizioni di parte. Chi vince – ai gazebo, nelle urne digitali o nei Congressi – prende tutto e custodisce gelosamente il potere dei poteri, la composizione delle liste elettorali. Chi perde fa i bagagli e se ne va, andando a creare nuove creature (più o meno) personalistiche.

La diatriba tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio si è conclusa dunque senza originalità, ove per originalità si intende la volontà (capacità?) di fare politica per davvero, ricomponendo i pezzi della società che si intende rappresentare. Il trentacinquenne bi-ministro degli Esteri, già superministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, già capo politico M5s, già vicepresidente della Camera, ha ritenuto che non fosse più possibile andare avanti nella casa politica che nei fatti ha co-fondato. L’ex premier di due governi, già «avvocato del popolo», mediatore con l’Europa per conto di una maggioranza sul filo dell’euroscetticismo, poi negoziatore della svolta Ue che ha portato al mega-piano Next Generation Eu, riferimento istituzionale per il Paese nel primo tempo del Covid e infine guida della nuova fase M5s, ha accolto la scissione non con preoccupazione ma con «sollievo». Non c’è da meravigliarsi se l’accavallarsi di questo continuo frantumarsi del quadro politico allontani i cittadini dal voto.

L’aspetto singolare delle scissioni degli ultimi trent’anni, è che la gran parte nascono con l’obiettivo di andare a costruire una "terza via", un "grande centro", un "polo moderato e riformista", un pilastro antipopulista e antisovranista, saldamente europeo e atlantico, in questa fase storica anche "draghiano" in riferimento all’agenda da portare avanti. A furia di scissioni da destra, da sinistra e dalla galassia antisistema, l’affollamento al centro richiede ormai un separatore di corsie. Esperimenti "dall’alto" che però non riescono a dissipare il sospetto che tutto sia finalizzato a lanciare una scialuppa di salvataggio a chi rischia di essere escluso dal prossimo Parlamento, o a chi vi vorrebbe rientrare dalla porta sul retro. D’altra parte, sul territorio, queste esperienze si articolano in formule che sono il contrario di una reale e attesa novità: il simbolo è spesso delegato a capibastone e mister preferenze che si muovono con disinvoltura su tutto l’arco dell’offerta politica sino a quando non trovano il divano più comodo, mentre le forze vitali che pure vorrebbero dare un contributo vengono soffocate dalla logica stringente dei pacchetti di voti. Date queste premesse, è del tutto ovvio che i vari leader in cerca di un posto al sole al centro del Parlamento si lancino a vicenda veti e Opa ostili: il fine non pare essere quello di rinnovare seriamente la classe dirigente secondo i criteri della capacità, della competenza e della passione per il bene comune.

Che quindi il promotore sia Di Maio, Calenda, Renzi, Toti, i "moderati" forzisti o i governisti della Lega perennemente sull’uscio il discorso non cambia: il "centro" che serve al Paese non può nascere così, non può nascere con queste dinamiche che legano Roma ai territori solo attraverso la logica dell’interesse tattico di un capo e del suo cerchio di fedelissimi.

Il 'centro' che servirebbe al Paese, e alla politica del Paese, richiede un solido lavoro di cura di energie e vitalità inespresse che vanno generosamente - e non strumentalmente - coinvolte. Energie che, è noto, si trovano anche (ma non solo) nel mondo cattolico. L’orizzonte dovrebbe essere quello dei «costruttori», indicato dal capo dello Stato Sergio Mattarella certo non in riferimento a specifici soggetti politici, ma a uno stile più generale da assumere per la ricostruzione del Paese. Senza «costruttori», ma con una somma disordinata di «distruttori», è plausibile che le varie bozze di centro ora in pista si ridimensionino a 'centrini', che non riuscirebbero poi a resistere alla tentazione del trasformismo.