Opinioni

Centralità della maternità. Se la parentela diventasse principalmente elettiva

Eugenia Roccella domenica 13 febbraio 2022

Qualche giorno fa il filosofo e giurista Francesco D’Agostino ha scritto su questo giornale che «il rifiuto della maternità (…) sta diventando uno dei tratti più caratteristici di questi anni» e sta anche «inevitabilmente alterando la stessa autocomprensione dell’umano». L’argomentazione di D’Agostino ribadisce l’assoluta centralità del materno nelle culture umane: «Non c’è dimensione della vita che non si intrecci non solo con la generatività, ma in particolare con quella dimensione della generatività che è affidata alle donne, la maternità». Molto ci sarebbe da dire sulle motivazioni che oggi spingono non poche donne nelle società più sviluppate del Nord del mondo, sopattutto nell’emisfero occidentale, a rifiutare o accantonare il materno, non solo come desiderio concreto di un figlio, ma come elemento essenziale della propria identità.

La maternità è svilita sotto ogni punto di vista: sociale, simbolico, culturale, e anche fisico. Con le nuove tecniche di fecondazione artificiale si è aperto un ricco mercato che umilia l’anomala bellezza della gravidanza, l’essere due in uno. Ormai, in forza della tecnoscienza si può scomporre il corpo femminile in singoli elementi vendibili: tutto è possibile, basta fare un contratto e pagare.

A questo si deve aggiungere la diffusione di ideologie per cui l’identità di genere prescinderebbe totalmente, in molteplici fluide possibilità, dal corpo sessuato. Nella nuova lingua del politicamente corretto, già dominante nel mondo anglosassone, si parla di 'persone con l’utero', evitando di usare l’impronunciabile parola 'donna', perché sarebbe diventata escludente. E si potrebbe continuare a elencare i segnali preoccupanti di attacco al materno, ma la nostra società non sembra rendersi conto fino in fondo delle conseguenze di questa mutazione di paradigmi sul vivere quotidiano, sui legami affettivi, sul cuore degli esseri umani. Uno degli effetti della perdita di senso del materno è leggibile nella destrutturazione dei legami di parentela, perché, come sanno gli studiosi di antropologia, è intorno alla maternità che si formano le relazioni all’interno della comunità umana. Già da tempo, in un mondo di figli unici e famiglie monoparentali, o al contrario di famiglie allargate fino alla dispersione, il legame di parentela si è indebolito.

Ma, si dice, i rapporti è meglio sceglierseli che trovarseli belli e fatti; un amico può essere assai più amorevole di un cugino o di uno zio, e poi si sa, 'parenti serpenti'. È più o meno quello che devono aver pensato legislatori dei partiti che compongono l’attuale alleanza di governo in Germania, dove è stata proposta una normativa per la cosiddetta 'parentela elettiva', pubblicizzata come «la più grande riforma del diritto di famiglia degli ultimi decenni». Si tratta, secondo il governo tedesco, di promuovere e riconoscere «l’assunzione di responsabilità reciproca tra persone», per quanto riguarda diritti e doveri, compresa la trasmissione di beni.

Si vuole offrire la possibilità di formalizzare i legami che si creano nella molteplicità di scelte di vita attuali, al di là dei rapporti di consanguineità; insomma, una famiglia che non privilegi obbligatoriamente figli, nipoti, genitori e parenti vari. È certamente una norma che allarga la libertà individuale, ma è anche un ulteriore colpo all’idea che esistono legami che si possono deteriorare, ma non disconoscere: si è madri, padri, figli per sempre, anche quando i rapporti si allentano o addirittura si rompono. E la maternità è al centro di questa trama parentale e familiare: non solo perché ne è il perno, ma perché è il più inscindibile dei legami, quello che più chiaramente rappresenta il 'per sempre', il bisogno incancellabile di un amore che non può finire.