Opinioni

I calcoli sbagliati di chi fa la guerra. Resistiamo al gran gorgo

Leonardo Becchetti venerdì 4 marzo 2022

«Soldato lascia cadere la tua arma e sarai un eroe». La paziente e dolce tenacia di una minuta vecchina di 80 anni, Yelena Ospinova, che scende in piazza con due enormi cartelli per manifestare a San Pietroburgo per la fine della guerra in Ucraina e viene arrestata è la nuova icona globale di questa guerra.

E si mescola alle tante immagini di eroismo e di speranza che abbiamo visto in questi giorni come l’altra di quell’uomo alto e magro con la barba che abbraccia piangendo un passante e alza un cartello dove prova vergogna per il suo Paese: «Sono russo, scusatemi per questo». O ancora la colonna enorme di civili ucraini che occupa la strada di Energodar e ferma l’avanzata dei carri armati russi verso la centrale nucleare lì ubicata. Le emozioni belle che suscitano esempi come questi si mescolano al dolore e alla rabbia per le scene di violenza e distruzione che vediamo e che rischiano di trascinarci in una trance bellicista.

Sono giorni in cui l’occidente deve usare la ragione. Vladimir Putin ha sbagliato i calcoli perché probabilmente pensava sarebbe andata come ai tempi dell’Unione Sovietica in Ungheria e in Cecoslovacchia dove bastò l’arrivo dei carri armati per fermare rivolte e primavere senza provocare nessuna reazione da parte dell’Occidente. Stavolta è diverso, e non solo perché gli ucraini hanno risposto con coraggio ed eroismo a difesa della loro libertà, ma perché il mondo è cambiato.
Nell’era della comunicazione globale e dei social molto resta nascosto o manipolato, ma quasi nulla è del tutto invisibile, e tutto può essere amplificato. I mercati finanziari oggi sono molto più interconnessi di allora e le sanzioni, ancorché selettive, hanno impatti immediati. Il blocco delle riserve della Banca centrale russa detenute nei Paesi occidentali e in Svizzera, la minaccia di sospendere il sistema Swift delle transazioni economiche, anche se selettiva, ha prodotto a oggi un crollo del rublo di quasi il 30% e ha costretto la Banca centrale a portare i tassi al 20%.

L’inflazione già molto alta (oltre l’8%) prima dell’inizio del conflitto esploderà per via dell’aumento del costo dei beni importati. Se è vero che la Russia arriva a questa fase con un rapporto debito/ Pil del 20% e riserve valutarie ingenti (attorno a 630 miliardi) ce n’è abbastanza per mettere in ginocchio famiglie, investimenti, imprese e il sistema bancario.

Il leader del Cremlino ha sbagliato i suoi calcoli ed è stato indebolito dalla resistenza degli ucraini, dalla reazione dell’Occidente e di tanta parte del Sud del mondo, dai sentimenti condivisi di miliardi di persone e dai meccanismi della comunicazione globale. Sarebbe un errore a questo punto lasciarsi trascinare nel gorgo di una escalation perché una vittoria totale (come quella della Seconda guerra mondiale) contro una potenza nucleare non è possibile.

E l’umiliazione di una controparte non completamente sconfitta produce effetti disastrosi, come quelli denunciati da John M. Keynes dopo la Prima guerra mondiale, che misero le premesse per la nascita del nazifascismo. Ogni aumento di aggressività da parte occidentale si muove su un crinale molto pericoloso perché se da una parte spera di indebolire la controparte per aumentare il proprio potere nego- ziale dall’altra rischia di spingerla verso mosse disperate. E la storia di questi giorni ci ha già dato prova che abbiamo di fronte un leader che non si fa proprio tutti gli scrupoli di fronte alla sofferenza umana e alle conseguenze delle proprie decisioni. Per interrompere la catena di morti e sofferenze bisogna puntare immediatamente ad un punto di equilibrio che non umili neanche l’aggressore. Henry Kissinger sosteneva da tempi non sospetti che la pace in Ucraina sarebbe stata possibile con le due 'F': finlandizzazione e federalismo.

Per questo motivo potrebbe essere auspicabile puntare nel negoziato al punto di equilibrio di un ritiro delle truppe russe accompagnato dall’accettazione da parte dell’Ucraina di uno status di neutralità (con ingresso nella Ue, ma non nella Nato: come Austria, Irlanda, Svezia e – appunto – Finlandia). Federalismo e autonomia (che noi ben conosciamo) sono la soluzione per i territori dell’est dove le popolazioni russofone sono più presenti. Se questo punto di equilibrio ci appare un sacrificio della libertà dell’Ucraina, vittima dell’aggressione, dobbiamo pensare, come ha ricordato qualche giorno fa Jeffrey Sachs, che a un Paese come gli Stati Uniti non farebbe certo piacere avere missili cinesi o russi al confine col Messico. Per noi, nati dopo la Seconda guerra mondiale, la tragedia di questi giorni è una lezione sul concetto di pace, democrazia, cittadinanza attiva. Ogni tragedia ci fa capire fino in fondo, in controluce, quanto valgono le nostre conquiste di civiltà. La pandemia ha reso la Ue più coesa e solidale generando il paradosso della massima disponibilità di risorse finanziarie (che tra l’altro facciamo fatica a spendere) nel periodo economico più difficile del Dopoguerra. La crisi russo- ucraina sta facendo capire a un’intera generazione quanto vale e quanto non sia scontata la conquista della pace e sta rinsaldando le fila dell’Unione Europea. Ultimo, ma non meno importante, questa prova sta dando una nuova forte motivazione alla transizione ecologica. La scelta delle rinnovabili (strategia irrinunciabile superate le emergenze del brevissimo periodo) è fondamentale non solo per fronteggiare le emergenze climatiche ma per promuovere la pace, con l’ambiente e tra gli esseri umani. Nel mondo del futuro le fonti di energia non saranno più variabile strategica controllata da regimi autocratici, ma saranno diffuse e distribuite riducendo quelle concentrazioni di potere che, nelle mani sbagliate, generano sempre conflitti. È una delle lezioni da imparare, mettere subito a frutto e non dimenticare.