Opinioni

Sulle vie di Roma. Ragazzi schiavi: il ritorno dei «cappottini»

Antonio Maria Mira martedì 16 dicembre 2008
I "cappottini" sono tornati. O, forse, non se ne erano mai andati. Forse ci eravamo noi un po’ distratti. Ed eccoli ancora qui ai semafori di Roma, nudi, scalzi, coperti da un lungo pastrano di un colore incerto e stretto in vita da una corda. Il "cappottino", appunto. Lontanissimo ricordo del capo di abbigliamento, liso e strappato. Stanno sotto la pioggia battente di questi giorni, dalla mattina alla sera, malgrado le folate di vento gelido. I lunghi capelli che colano pioggia sulla barba incolta. Li abbiamo incontrati ai crocicchi più famosi della Roma storica e popolare. Piazzale Numa Pompilio tra le Terme di Caracalla e la villa di Alberto Sordi. E poi Porta Capena, all’imbocco del Circo Massimo e, ironia della sorte, a fianco del palazzo della Fao, l’organizzazione dell’Onu contro la fame nel mondo. Al rosso scendono dal marciapiede. I piedi nudi tra le pozzanghere. A passi lenti si avvicinano alle auto ferme e, timidamente, porgono le mani. Qualche finestrino si abbassa. È Natale e siamo tutti più buoni... Ma nessuno arriva per strapparli al destino di schiavi. Lo avevamo già denunciato nove mesi fa. Tutto ben noto allora come l’anno precedente, quando i quotidiani romani avevano titolato «Smantellata la banda del cappottino». Poveri disperati, spesso strappati a qualche istituto dei Paesi dell’Est o a famiglie che non possono sfamarli. Ma qui chi li sfama? Dove vivono? Perché da qualche parte devono pur passare la notte. Qualcuno li porta la mattina sul "posto di lavoro". E non c’è tempo che tenga. Anzi più il tempo è inclemente, più piove, più fa freddo, e più si spera che la gente sia indotta, per pietà, a sganciare qualche centesimo. E così eccoli di nuovo i "cappottini", tra i romani distratti dall’emergenza Tevere e dai regali che, malgrado la crisi, si devono fare. I "cappottini" non conoscono crisi. Sono qui con la loro "divisa" da ultimi della Capitale. Tutti li vedono ma nessuno vuole guardare. Ci vorrebbe assistenza e repressione. Per aiutare gli schiavi e per colpire duramente gli schiavisti. Gli uni e gli altri non sono fantasmi, ma persone in carne e ossa. I "cappottini" portano sulla loro pelle il dolore e lo sfruttamento. Gli schiavisti su quella giovane pelle fanno i soldi. Mercato umano, reato gravissimo. E allora perché le Forze dell’ordine non fanno qualche appostamento la mattina e la sera? Gli uomini sono impegnati in indagini "più importanti"? Ma cosa c’è di più grave del violento sfruttamento sull’uomo? Solo così, scovando e punendo gli schiavisti, si potranno aiutare quegli uomini buttati sotto la pioggia a raggranellare, per altri, pochi euro. Non bastano le iniziative del Comune (ma in questi giorni dove erano?), perché poi gli schiavisti tornano a riprenderseli. È già successo. E così i "cappottini" sono di nuovo tra noi. Ci vorrebbe davvero poco perché l’annuncio del Natale valesse anche per loro. E non solo oggi.