Opinioni

Lo stile di McCain, lo show di Trump. Oltre gli «impresentabili di successo»

Marco Tarquinio sabato 7 novembre 2020

Gentile direttore,
è la notte del 4 novembre 2008. Barack Obama è appena stato eletto presidente degli Stati Uniti d’America. Lo sfidante, John McCain, repubblicano, sale sul palco a Phoenix davanti ai suoi sostenitori e pronuncia uno dei “discorsi della sconfitta” più belli e ispirati mai pronunciati. Eccone una parte fondamentale.
«Amici miei, siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio. Il popolo americano ha parlato, e ha parlato chiaramente. Poco fa ho avuto l’onore di telefonare al senatore Barack Obama per congratularmi con lui. Per congratularmi con lui di essere stato eletto come nuovo presidente della nazione che entrambi amiamo. In una competizione così lunga e così difficile come è stata questa campagna, il suo successo – da solo – esige il mio rispetto per la sua abilità e perseveranza. Ma il fatto che ci sia riuscito dando ispirazione alla speranza di così tanti milioni di americani, che credevano erroneamente di essere così poco in gioco o di avere una influenza minima sull’elezione di un presidente americano, è qualcosa che io ammiro profondamente e la cui riuscita merita il mio encomio. Questa è una elezione storica, e io riconosco lo speciale significato che ha per i neri e lo speciale orgoglio che deve essere il loro questa notte. Ho sempre pensato che l’America offra un’opportunità a chiunque abbia l’industriosità per afferrarla. Il senatore Obama crede lo stesso. Ma entrambi riconosciamo, a dispetto del lungo tratto percorso dalle vecchie ingiustizie che un tempo macchiavano la reputazione della nostra nazione e che negavano ad alcuni americani la completa benedizione della cittadinanza americana, che la memoria di ciò ha ancora il potere di ferire. Il senatore Obama e io abbiamo le nostre differenze e le abbiamo dibattute; e lui ha prevalso. Non c’è dubbio che queste differenze rimangano. Ma questi sono momenti difficili per il nostro Paese. E io questa notte prometto a lui di fare tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo a guidarci attraverso le molte sfide che andremo a incontrare.
Raccomando a tutti gli americani che mi hanno sostenuto non solo di unirsi a me nel congratularsi con lui, ma di offrire al nostro prossimo presidente la nostra buona volontà e i più onesti sforzi per scoprire le strade che ci aiutino a trovare i necessari compromessi per stabilire dei contatti fra le nostre differenze, così da aiutarci a ripristinare la nostra prosperità, difendere la nostra sicurezza in un mondo pericoloso, e lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti un Paese migliore di quello che abbiamo ereditato (...) Auguro le migliori cose all’uomo che era il mio avversario e che sarà il mio presidente».
John McCain è morto dieci anni dopo per un tumore. Oggi questo suo discorso è diventato a tutti gli effetti un manifesto di dignità, rispetto, visione, statura politica. Da leggere e da condividere. Che enormità, che differenza, quanti anni luce rispetto allo scempio immane a cui il mondo sta assistendo incredulo in queste ore.

Aldo De Chiara


Grazie davvero, gentile dottor De Chiara. Avevo in mente anch’io, come molti, quel discorso di dodici anni fa di John McCain, uomo di valore in molti sensi. All’epoca del duello del senatore dell’Arizona con il travolgente Barack Obama, non nascosi affatto l’ammirazione da “osservatore non votante” per colui che considero il miglior candidato alla Casa Bianca espresso dai Repubblicani negli ultimi trent’anni. Quelle parole forti in sé – basta leggerle per provare un brivido – vennero per di più pronunciate con emozione coinvolgente e con stile impeccabile. E mi sono tornate alla memoria l’altra sera ascoltando la gelida e rabbiosa litania di accuse e di insulti scandita da Donald Trump, presidente in carica degli Stati Uniti d’America, di fronte alla continua crescita dei consensi del suo sfidante Joe Biden. E questo anche se l’attuale inquilino della Casa Bianca a quel punto sapeva perfettamente sia di non essere mai stato avanti nella decisiva attribuzione di Grandi elettori, sia di essere stato battuto moralmente nel voto popolare. Biden, infatti, ha ottenuto circa 4 milioni di consensi in più di Trump.
Detto questo, amo il “discorso della sconfitta” di McCain perché non è la parola di un perdente risentito, ma di uno statista capace di riconoscere il confine tra l’interesse di partito (nonché della personale ambizione) e il bene del Paese di cui è cittadino e rappresentante. Quel discorso è vero e credibile perché è incastonato in una storia d’impegno politico e civile che ha coinciso con l’intera vita di McCain, purtroppo interrotta due anni fa da una malattia inesorabile. Continuo ad augurare a tutti noi dei politici di questa levatura morale e di questa fedeltà ai valori comuni e alle istituzioni nelle quali si deve servire e delle quali non ci si può servire. Sono uomini e donne così, gentile dottor De Chiara, che ci aiuteranno a riconciliarci con la politica e a dare volto alla speranza di liberarci dagli “impresentabili di successo” che purtroppo hanno preso a imperversare nel mondo delle democrazie in questi primi decenni del XXI secolo proprio come cent’anni fa...