Opinioni

50 anni. Lo sbarco e gli sbarchi. (Anche la Luna arrossisce)

Angelo Scelzo martedì 23 luglio 2019

Sbarcare è un verbo multiuso, ma non solo per questo è in voga come non mai, quasi conteso, tra gli innumerevoli spunti di cronaca e la memoria lunga, anzi l’epopea del 'toccare terra'. È da mezzo secolo, tuttavia, che la terra ha perso l’esclusiva del suolo di approdo. Quanto se n’è detto e scritto in questi giorni di luglio: anche dell’uomo che ha messo piede sulla Luna si è parlato di sbarco. Certo, da una navicella che, invece del mare solcava lo spazio, ma che, allo stesso modo, era partita in cerca di un porto sicuro, sebbene non ancora esplorato e quindi del tutto ignoto.

Cinquanta anni dopo quell’enorme passo dell’umanità, è difficile non considerare l’interferenza che esso oggi provoca, anche in maniera inconsapevole, di fronte a una realtà che, sfidando anche la storia, parla un linguaggio tutto diverso. Sbarcare, oltre che un verbo, è diventato il grande interrogativo, anzi il miraggio, di un popolo dalle tante - troppe - bandiere tutte macchiate di soprusi, di tirannie e di guerre, che dal mare è costretto a cercare riparo su una terra nuova. Non si tratta evidentemente di esplorazioni: non cercano la Luna quei disperati che mettono in gioco anche la vita per dare sponda alle speranze.

È alto, e anzi cresce, il prezzo da pagare. Le statistiche sono numeri, ma nessuna di esse riuscirà mai a dare un nome a tutte le vittime, a quegli ultimi della fila che, se sulla terraferma sono grumi di povertà, nel mare sono irrimediabilmente uomini e donne e bambini senza scampo. Come un’effigie all’ambiguità dei tempi, sbarcare è diventato anche un verbo a due facce. Proprio in questi giorni, la Grande Ricorrenza appena celebrata non può che proporre la faccia lunare; e rinverdire quindi i momenti esaltanti di quell’evento. Di uno sbarco che apriva all’uomo le porte di un mondo nuovo, oltre i confini della Terra. Uno Sbarco, dunque, che sovrastava ogni altro, e da scrivere con la maiuscola, secondo le regole grammaticali della storia, quando è veramente tale.

A quel momento che 50 anni fa tenne l’umanità con il cuore in tumulto e il naso all’insù, fa da contrasto oggi un’immagine di altro tipo e di altro spessore. Forse colpa di un altro salto grammaticale: non più lo Sbarco, ma un plurale, gli sbarchi, che ne stravolge il significato, e che rimanda l’immagine, stavolta, di occhi abbassati, e di sconfitte multiple, una dopo l’altra, un porto dopo l’altro, che fanno ancora più male se rapportate all’orgoglio di quel-l’attimo, al legittimo petto in fuori di un’umanità che si esaltava davanti alla sua immensa conquista. L’uomo ha potuto sbarcare sulla Luna, progetta di farlo di nuovo, ma nessuno può assicuragli oggi che riesca a farlo nei porti dei suoi mari e delle sue coste. Approdi costruiti dalle sue mani e dalla sua fatica, ma per una vasta area del Mediterraneo solo e nient’altro che miraggi, come una volta era la Luna. Un prodigio al contrario: esistono i porti e sono tanti, e anche una piccola rada, con il suo molo a semicerchio, richiama sempre l’idea dell’abbraccio e dell’accoglienza. Ma le sbarre possono esistere anche per mare. E diventano muri. Se la Luna fu conquistata, oggi il mare è violentato, e perfino depredato delle sue leggi, la prima delle quali, la più naturale, parla di soccorso e di accoglienza.

Un triste destino sulla Terra nei giorni in cui il mondo riporta in primo piano quell’orgoglio e quel valore. Il piede dell’uomo sulla Luna ha cambiato davvero, e molto più di quanto riusciamo a immaginare, il corso della sua storia, e quella del mondo che da quel momento ha associato a sé altri spazi, altro coraggio, e altra libertà. Perlustrando quel suolo e cercando materiali e reperti utili per la scienza, l’uomo ha portato a casa, dal viaggio spaziale, anche gli elementi che rendevano più forte e solida la sua umanità. Mezzo secolo è anche il tempo di verifica per un investimento di questo tipo. E si può dire che, da allora in poi, si è fatto leggero e quindi più spedito il cammino verso i nuovi mondi, segnato dal progresso scientifico, certificato dalle strabilianti tecnologie che riportano a un’altra età il passato di appena cinquanta anni di vita.

Ma il passo è anche appesantito su altri versanti. C’è ancora un’umanità che annaspa, che cerca e non trova sponde, che rischia ogni giorno la deriva. La realtà ha rotto gli argini. Non è un racconto, né una brutta favola quella di porti chiusi, degli approdi che non sono più tali. Non l’immagine, ma la verità che si fa strada è quella dalla paura che fa vedere i varchi come falle a cui porre rimedio. Forse da lassù, tanto più in questi giorni in cui è così spesso evocata, anche la Luna finisce per arrossire un po’ di noi.