Opinioni

Ai confini dell'umano. La grande ipocrisia sulla pena di morte

Mario Marazziti venerdì 26 gennaio 2024

La grande ipocrisia che circonda la pena di morte ha scritto una nuova pagina. Kenneth Smith, 58 anni, 35 dei quali già passati nel braccio della morte, alla fine è stato ucciso dallo stato dell’Alabama, con il metodo - mai sperimentato prima in una esecuzione capitale - dell’asfissia da azoto assoluto inalato a forza, con una mascherina, al posto dell’aria.

«Forse il più indolore metodo di esecuzione conosciuto», hanno detto, come se morire soffocati potesse mai diventare quasi un piacere. L’Alabama è voluto passare alla storia così. Introducendo come normalità una nuova soglia di disumanità. Dopo 37 minuti dall’inizio, alle 3:25 di questa notte – erano le 8:25 di sera lì ad Atmore - Smith è stato dichiarato ufficialmente morto. I testimoni descrivono molti minuti di piena coscienza, poi due minuti di un corpo aggrappato alla lettiga dell’esecuzione, scosso, poi vari minuti di lunghi respiri affannati, e poi, pian piano sempre più deboli, fino a svanire. «Il metodo più umano e senza dolore per una esecuzione finora conosciuto», aveva detto l’Attorney General. La giudice Sonia Sotomayor, in minoranza nella Corte Suprema, ha lasciato un parere chiaro: «L’Alabama, avendo già fallito al suo primo tentativo, lo ha selezionato come guinea pig, prima cavia umana».

Avevano venduto all’opinione pubblica una favola, la morte indolore, uno stato di torpore assoluto e di incoscienza dopo pochi secondi. Non esiste un modo dolce e umano di uccidere. La storia dell’umanità racconta del passaggio, nei secoli, dagli squartamenti, dalle persone bruciate, all’impiccagione, dalle frecce alle decapitazioni, poi la ghigliottina come metodo più rapido e moderno, fino alle fucilazioni, alla sedia elettrica e alla camera a gas, fino all’iniezione letale. Con un solo, vero, obiettivo. Far sembrare meno orribile a chi guarda l’atto di ammazzare.

Tutto il linguaggio della pena di morte serve a coprire la realtà. “Fare giustizia”, “giustiziare”, “eseguire”, ma è sempre uccidere. Con una scientificità aggiunta al morire, una data innaturale per una fine innaturale, che è essa stessa tortura mentale. Non esiste la morte pulita. Comunque accada, la camera della morte, e quelle ultime ore, sono tortura. Irreversibile, senza luce di riscatto, senza misericordia, senza pietà, empia davvero, come sa bene Papa Francesco, la pena capitale «è sempre inammissibile».

Una grande fantasia per uccidere, niente immaginazione per far vivere. «C’è una legge, ha detto la Governatrice, noi abbiamo il dovere di applicarla». La coerenza è un tubo. Se ci metti dentro disumanità, esce fuori disumanità. C’è una scelta da fare.

Il mondo è in confusione, immerso in una cultura di morte, mentre ha un grande bisogno di ricostruire la convivenza umana, che è l’unico modo vero di sconfiggere la violenza.

Smith non era peggio di molti altri. 18 mila omicidi all’anno negli Stati Uniti, e una ventina le esecuzioni capitali. Non è giustizia, è caso. Dipende dalla geografia. La pena di morte è sempre “unusually cruel”. Non c’è quella pulita. Né negli Usa né in Cina, in Iran, in Arabia Saudita, in Egitto, che usano la pena di morte più degli altri popoli, ma sempre meno. Nel 1975 erano solo 16 gli stati che l’avevano abolita, adesso 111 l’hanno abolita in tutti i casi, altri quaranta non la praticano, negli ultimi anni l’hanno usata davvero in venti stati. Siamo comunque a una svolta della storia, anche se c’è una cultura di morte pervasiva.

«L’Alabama ha fatto fare al mondo un passo indietro», le parole più sagge sono state dette, le ultime, proprio da Kenneth Smith. «Lascio questo mondo con amore, in pace e nella luce».