Opinioni

La riforma costituzionale. Il Cnel non va difeso i valori fondativi sì

Gian Paolo Gualaccini* venerdì 4 novembre 2016

Caro direttore, è noto che il ddl costituzionale Boschi prevede la soppressione dell’art. 99 della Costituzione che, appunto, riguarda il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) di cui da qualche settimana sono stato eletto all’unanimità alla vicepresidenza, prima volta per un rappresentante del mondo del non profit, in questo organismo in cui il Terzo settore è entrato nel 2001. Si intende, dunque, sopprimere il Cnel. In verità già molti erano stati i segnali negativi: dalla Bicamerale D’Alema nel 1997 (proposta di cancellazione) alla più recente Commissione per le riforme costituzionali (i 10 saggi nominati dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) che a settembre 2013 aveva «condiviso una valutazione negativa della sua [del Cnel] attuale configurazione» e aveva ipotizzato due strade: «Per alcuni il Cnel dovrebbe essere oggetto di un’ampia riforma, per altri dovrebbe essere invece soppresso». Niente di strano è quindi successo: a fronte di nessuna proposta di profonda riforma, l’attuale Governo e il Parlamento hanno scelto la strada della soppressione. Personalmente ritengo che abbiano ragione: la sua attuale configurazione rende il Cnel inutile e indifendibile. La missione, la governance, la composizione, il numero dei consiglieri, le modalità delle loro designazioni sono apparsi come riti vecchi e incapaci, soprattutto negli ultimi anni, di essere veramente utili a Governo e Parlamento: e se ci aggiungiamo il rinvio a processo, per gli ultimi due ex presidenti e per tanti consiglieri, da parte della Corte dei Conti del Lazio, per presunto danno erariale arrecato per incarichi e consulenze indebite, si capisce che, pur sperando che i consiglieri accusati riescano a provare la loro innocenza, per il Cnel non è certo un bel finale di stagione! L’unica ragione per cui si può difendere il Cnel non è il Cnel stesso, ma la ragione ideale per cui nacque: infatti l’art. 2 della Costituzione stabilendo, che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» riconosce che ogni individuo cresce sia come singolo che nelle «formazioni sociali» e i padri costituenti erano così certi e concordi su questo principio che con l’art. 99 della Costituzione diedero al Cnel (la 'casa' appunto delle formazioni sociali) dignità di organo di rilievo costituzionale. Ma a questa grande responsabilità le principali formazioni sociali, che hanno gestito di fatto il Cnel (associazioni sindacali e datoriali) in tutti questi anni come hanno risposto? Sarebbe bastato capire che occorreva declinare i valori fondativi del passato con la prova dell’oggi, nell’epoca della demagogia, dell’antipolitica e del facile populismo. Sarebbero servite forme nuove, e funzioni nuove per il Cnel come avviene, ad esempio, per il Cese (Comitato economico e sociale europeo) intelligentemente inserito nel processo normativo dell’Unione Europea o per i tanti Ces (Comitati economici e sociali) dei Paesi europei ed extraeuropei: ma le principali parti sociali che avevano la possibilità di cambiare il Cnel hanno sinora perso, ancorandosi al passato, l’ennesima occasione. Vedremo che cosa decideranno gli italiani.
*Vice Presidente Cnel