Opinioni

Il Nobel dato alla Ue e il viaggio del Papa in Libano. I due volti della pace

Gabriella Cotta sabato 27 ottobre 2012
Ci sono notizie che colpiscono in modo particolare la nostra attenzione perché vengono veicolate con particolare enfasi sui mass media, così come ci sono silenzi assordanti su eventi estremamente significativi. Penso in particolare a due eventi che i lettori di questo giornale conoscono bene, che sono assimilabili per un tema di fondo che li accomuna, ma che sono stati trattati in modo platealmente diverso. A uno di essi è stata data una estesa copertura mediatica: quella del premio Nobel per la pace all’Unione Europea, mentre l’altro è stato trasformato dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione in una non-notizia: il viaggio di Benedetto XVI in Libano. In entrambi i casi, la questione sottesa è quella della pace, della sua difficile stabilità e dei suoi contenuti. Il riconoscimento del premio Nobel alla Ue, come si legge nella motivazione, è dovuto al fatto di aver superato situazioni durature di conflitto, di aver allargato i confini della democrazia, di aver gettato le basi di un’unificazione pacifica di un grande spazio geopolitico, destinato, in prospettiva, a livellare sperequazioni e a creare stabilità e relativa omogeneità politica, economica e culturale. L’Unione Europea è stata premiata, perciò, non solo per ciò che ha fatto, ma anche in considerazione di prospettive future che, auspicabilmente, essa appare destinata a realizzare. Con l’assegnazione del Nobel, perciò, si è deciso di sottolineare la spinta unificante del disegno politico europeo, considerando questo stesso fatto un elemento di pacificazione e tralasciando di considerarne le pur gravi carenze. Queste sono note: la povertà della sua dinamica politica – schiacciata sul versante economico-finanziario, fonte di decisioni discusse e di forti tensioni –, la carenza praticamente assoluta in materia di politica estera comune, le problematiche prese di posizioni in materie etiche, culturali e religiose, peraltro non avvertite come tali dalla commissione per il Nobel. La notizia del viaggio di Benedetto XVI in Libano – così come quella dell’invio di una delegazione della Santa Sede a Damasco nel cuore di una delle guerre più crudeli in corso – invece, rivela una ben diversa prospettiva intorno al tema della pace, pur nello scandaloso silenzio sotto cui i mass media ne hanno nascosto il potenziale profetico. Se nel caso della Ue, come direbbe sant’Agostino, la pace si rivela, malgrado le carenze di prospettiva degli indirizzi umani, come forma stessa della politica quando essa obbedisce alla propria natura unificante, nelle azioni e nelle parole di Benedetto XVI il tema è affrontato esplicitamente e in modo universale. Se la politica è in grado, quando è buona politica, di pacificare all’interno dei propri confini, la questione oggi ancora più urgente è di proporre la necessità di pacificazione all’umanità intera. La scelta profetica di recarsi in un Paese e in una zona che sono coacervi ribollenti e sanguinosi di religioni, tradizioni culturali, popolazioni in lotta apparentemente senza via d’uscita tra loro, significa porre al mondo intero il problema di pensare, oltre le differenze, la fratellanza universale. Significa avviare non solo buone politiche, pur sempre chiuse nei confini geografici che sono loro propri, ma, ancor prima, sollecitare urgentemente la riflessione sull’uomo e sulla necessità di un pacificazione per tutti. Se siamo in grado di giudicare che cosa sia buona politica, tanto da conferire un premio per questo, perché non dovremmo essere in grado di giudicare che cosa sia buono per l’uomo e per ciascuno di essi? Che la pace sia, per l’appunto, il primo bene della politica ma ancor prima dell’uomo lo aveva già segnalato Agostino. Che sia possibile favorirla e doveroso crearne le condizioni lo ha evidenziato il viaggio di Benedetto XVI a Beirut quando si è visto realizzato, per pochi giorni, il miracolo dell’accordo o, per lo meno, della cessazione dei conflitti, ed è apparsa possibile una situazione diversa dove la speranza fiorisce, la tolleranza è per tutti, l’uguaglianza fraterna non appare un miraggio, dove ogni religione è vissuta per quello che dovrebbe essere: adorazione di Dio nell’onore dell’uomo. Della realizzazione di questo orizzonte si deve fare carico l’uomo con la fatica delle sue azioni, la ricerca di strade che possono apparire impervie e l’audacia dell’innovazione. Importante sarebbe che il mondo (anche quello dei mass media) sapesse cogliere gli insegnamenti che lo guidano in tal senso e non, al contrario, operare su di essi una rimozione tanto violenta quanto suicida.