Opinioni

La pandemia e un rischio. Difesa dei servizi pubblici, difesa della democrazia

Rosa Pavanelli e Magdalena Sepúlveda sabato 26 giugno 2021

Ammettiamolo: l’impatto della pandemia è ora crudelmente diverso a seconda di dove si vive e di quanti soldi si hanno. In Europa, negli Stati Uniti, in Cina e in una manciata di paesi ricchi, i ristoranti e i bar straripano, le palestre riaprono e la gente ricomincia a socializzare senza paura. In questi paesi, che si sono accaparrati la maggior parte dei vaccini, si spera di aver messo l’epidemia alle spalle. Altrove, in particolare in India, Africa e America Latina, il Covid-19 e le sue varianti continuano ad imperversare, con la loro scia di morti, ricoveri, disoccupazione, povertà e paura. Due realtà che sono in netto contrasto, a parte il motivetto che comincia a farsi sentire in tutto il mondo: quello dell’austerità.

A Roma, Città del Messico e Città del Capo, gli argomenti sono gli stessi: una volta che la crisi è finita, le misure prese per sostenere i più colpiti devono essere subito invertite. Questo significa un ritorno ai tradizionali tagli ai bilanci degli ospedali, alle prestazioni sociali e al congelamento dei salari dei lavoratori del settore pubblico. Significherà anche una maggiore privatizzazione dei servizi idrici, sanitari e educativi, compresa la mercificazione della cura della persona, che porterà ad un maggiore sfruttamento del lavoro delle donne. Sembra che questa pandemia non abbia insegnato nulla. Abbiamo già dimenticato le immagini della Lombardia? Il cuore della finanza e della moda italiana si vantava di avere il sistema sanitario più efficiente, perché era il più privatizzato del paese. Era persino uno slogan pubblicitario: 'Sii sano, vieni in Lombardia', vantava un dépliant. Ma nel marzo 2020 la regione, una delle più ricche aree del mondo, è stata travolta, con un tasso di mortalità del 5,7%, più del doppio della media nazionale (2,4%). Nel vicino Veneto, che aveva mantenuto un sistema sanitario pubblico, è andato molto meglio.

Ci ricordiamo che negli Stati Uniti, il virus ha ucciso proporzionalmente più persone a basso reddito che, senza assicurazione sanitaria, non sono state in grado di raggiungere l’ospedale in tempo? Per non parlare delle tragiche scene nei sobborghi poveri di Santiago del Cile, un altro esempio di privatizzazione, dove il 90% delle vittime della pandemia sono morte in casa, non avendo mai avuto i mezzi per vedere un medico. Infine, non abbiamo più alcun pensiero per i 115.000 operatori sanitari e di assistenza e molti altri che sono morti a causa del Covid-19 mentre servivano le loro comunità? Questo non è accettabile. Così come non è accettabile che molti governi, come a Philadelphia, negli Stati Uniti, stiano ora considerando di privatizzare i servizi idrici pubblici. La pandemia ha dimostrato la necessità di un accesso universale all’acqua, con intere comunità a cui viene negata la possibilità di lavarsi le mani per proteggersi dal virus – 4 miliardi di persone sul pianeta. Lo stesso vale per l’educazione. La crescente dipendenza dalle scuole private in tutto il mondo, incoraggiata dalla Banca Mondiale e dal Fmi, non è tollerabile: è una delle ragioni per cui centinaia di milioni di bambini sono rimasti senza scuola dall’inizio della pandemia.

La riduzione dei bilanci dei servizi pubblici e il trasferimento del loro controllo al settore privato non è inevitabile. Per compensare le enormi somme di denaro spese durante la crisi e per finanziare la ripresa, i governi devono cercare il denaro dove si trova: nei conti delle persone più ricche e delle multinazionali. Le grandi aziende tecnologiche, che hanno visto i loro profitti moltiplicarsi durante la pandemia, devono finalmente pagare la loro giusta quota di tasse. Non è una mossa radicale: è stata appena annunciata dall’amministrazione Biden negli Stati Uniti. Su sollecitazione di Washington, i paesi del G7 hanno appena riconosciuto la portata dell’evasione fiscale, accordandosi su una tassa globale minima di almeno il 15% sui profitti esteri delle multinazionali. Questo è un passo nella giusta direzione, ma non è sufficiente per generare entrate significative per i paesi del Nord e del Sud del mondo. È fondamentale che i governi si mobilitino unilateralmente per tassare le loro multinazionali a livelli molto più ambiziosi, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, che hanno optato per un’aliquota del 21%. Questo non accadrà senza la pressione dell’opinione pubblica. La Giornata Mondiale del Servizio Pubblico celebrata il 23 giugno ha visto i cittadini mobilitarsi per chiedere non solo più risorse per questi lavoratori, ma anche il riconoscimento del valore che generano nelle nostre società, garantendo servizi che il mercato non è in grado di fornire. Servizi organizzati intorno all’interesse pubblico, gestiti democraticamente, che permettono a tutti di vivere dignitosamente, non secondo la loro possibilità di pagare, ma perché è un loro diritto. È attraverso questi meccanismi di solidarietà che possiamo costruire società più resilienti e giuste, in grado di rispondere meglio in tempi di crisi come quello che stiamo vivendo.

È anche una questione politica. Mentre perdiamo il controllo dei nostri servizi essenziali, che sono sottofinanziati e privatizzati, e mentre le persone più ricche organizzano un sistema parallelo di sanità e istruzione, le classi medie e lavoratrici perdono fiducia nello stato. Sentono di star pagando molto per avere sempre meno, mentre i redditi dei più ricchi, che sono poco tassati, vengono conservati. Questo deterioramento del tessuto sociale, di cui i servizi pubblici sono il cuore pulsante, spiega in gran parte l’ascesa di movimenti e partiti populisti e autoritari. Scegliere di mettere in concorrenza scuole o cliniche private, piuttosto che garantire servizi pubblici di qualità per tutti, significa correre il rischio di alimentare ulteriormente il risorgere dell’estrema destra a cui stiamo assistendo in tutto il mondo. Difendere i servizi pubblici è anche difendere la democrazia.

Pavanelli è segretaria generale di Servizi pubblici internazionali, la federazione sindacale globale per sindacati del settore pubblico

Sepúlveda è direttrice esecutiva della Global Initiative for Economic, Social and Cultural Rights