Opinioni

Draghi e le risposte ai giovani. Alla svolta l'acutissima questione generazionale

Arturo Celletti e Eugenio Fatigante venerdì 12 febbraio 2021

L’Eurotower di Francoforte non è Hogwarts, la scuola di magia di Harry Potter. E Mario Draghi non è uscito nel 2019 dalla Bce con la bacchetta magica. Ha però visione, credibilità e autorevolezza per catalizzare il meglio dell’intelligenza sui problemi di questo «cambiamento d’epoca» e per mettere la testa e le mani sull’articolazione italiana del Next Generation Eu, trasformandolo in un grande Piano pensato per i giovani. C’è, insomma, la possibilità e ci sono le risorse per porre fine alla storia infinita del tradimento più terribile, quello dei padri e delle madri verso i figli.

Basta un dato per capire la drammaticità del problema: negli ultimi 5 anni abbiamo caricato sulle spalle dei nostri figli altri 400 miliardi di debito pubblico. Riconosciamolo una volta per tutte: il conflitto generazionale c’è già. Non è ancora esploso, ma c’è. E nessuno può voltarsi dall’altra parte. Anzi, tutti dovranno riflettere e interrogarsi: che Italia è questa che alle giovani generazioni lascia soltanto il debito? Già perché, tenendo conto che la gran parte (64 miliardi, stando alla bozza Conte) dei sussidi a fondo perduto destinati all’Italia saranno destinati a coprire spese già sostenute nel 2020, i circa 127 miliardi rimanenti di prestiti che contrarremo con l’Unione Europea dovranno essere ripagati sino al 2058 proprio dai giovani di oggi. E noi padri e madri come possiamo caricarli di questo ulteriore peso senza fare ogni sforzo e immaginare ogni riforma per metterli e metterle in condizione di farcela? Come possiamo chieder loro questo nuovo mostruoso sacrificio se non mettiamo ogni giusta energia su scuola e ricerca?

Sono i giovani, ancor più dei disoccupati 40-50enni, gli sconfitti dei troppi anni di mancato sviluppo del Paese. Ma ora l’inversione di rotta può avvenire sull’asse Bruxelles-Roma. Nei mesi scorsi Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ha detto che il successo del Next Generation Eu dipende molto dall’Italia, principale beneficiaria dei fondi. E Draghi sa benissimo che il successo del piano italiano e dei 209 miliardi a esso collegati (non sono un premio, ma il riconoscimento da parte della Ue delle nostre maggiori fragilità dovute anche al fattore demografico), è legato in buona parte al fatto che 'sappia parlare ai giovani'. Allora occorre impostare scelte e azioni di politica economica (il cui dividendo si incasserà soprattutto nel medio-lungo termine) stimolando da subito le fasce di popolazione dall’età più bassa.

Le forze politiche tutte hanno chiaro il problema. Draghi ha chiaro il problema. Da padre (e presto da capo del governo) sa quello che hanno combinato le generazioni 'di mezzo', generate e cresciute sull’onda demografica del baby boom. Pensioni, lavoro, ambiente: capitoli della storia di un drammatico egoismo collettivo. Ora c’è l’occasione di voltare pagina. Perché un Paese dove oltre due giovani su dieci non studiano e non lavorano non ha futuro. Perché un Paese dove un giovane laureato guadagna mille euro e un pensionato 1.600 non ha futuro. E la storia comincia a presentare il conto anche agli ultra 50enni, il cui numero cresce sia fra i lavoratori (balzati in 15 anni da 5 a 9 milioni) sia fra i disoccupati. Non si tratta tanto di aumentare nel Pnrr le voci di spesa riservate direttamente ai giovani, quanto di permeare il tutto di questa preoccupazione, come un filo rosso: perché anche una spesa per un’azione di 'transizione ecologica' o per un’infrastruttura materiale può avere ricadute sui giovani. Anche rivedendo, se necessario, strumenti che già assorbono ingenti risorse, come il reddito di cittadinanza (da revisionare) o 'Quota 100'. Tocca al governo Draghi riaccendere i motori dell’Italia cominciando a ritrovare i giusti equilibri. E tocca a noi ricordarglielo tutti i giorni. Prima, magari, di ritrovarci con i nostri figli nelle piazze a manifestare per reclamare equità. Al suo commiato da governatore di Bankitalia, nelle 'Considerazioni finali' del 2011, proprio Draghi si chiese: «Quale Paese lasceremo ai nostri figli? Perché la politica, che sola ha il potere di tradurre le analisi in leggi, non fa propria la frase di Cavour… 'le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano?'». Ora tocca a lui offrire quelle risposte che andavano date già ieri. E a tutti noi fare ogni giorno la nostra parte.