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Sostenibilità. Fiducia minata: «Ecco i danni del greenwashing»

Andrea Di Turi mercoledì 26 aprile 2023

C’è il greenwashing fra i fattori principali che stanno erodendo la fiducia dei risparmiatori verso la finanza sostenibile: lo ha detto la Consob nel suo ultimo rapporto su come investono le famiglie italiane. Ma lo dicono ormai tutti i regolatori internazionali, che stanno mettendo a punto strumenti e strategie per arginare il greenwashing dilagante.

Gli operatori che promuovono la finanza sostenibile da più tempo, i pionieri, sono quelli che più hanno da perdere. Hanno impiegato anni a costruirsi credibilità e mercato, lottando contro lo scetticismo. Ora che hanno vinto la battaglia e il mercato ha fatto propri i fattori Esg (ambientali, sociali e di governance), rischiano però di perdere la guerra. Negli Usa, addirittura, tutto ciò è diventato materia di scontro politico: il movimento “anti-Esg”, facendo leva proprio sulle falle aperte dal greenwashing, accusa la finanza sostenibile di essere ideologica. E cerca di metterla fuori gioco per legge, perché sostiene che la finanza dev'essere libera di fare quello che vuole senza curarsi di impatti sociali e ambientali: nell'era della crisi climatica conclamata, il mondo alla rovescia.

Parlando di pionieri il primo nome che viene in mente è quello di Banca Popolare Etica, che dalla sua nascita l’8 marzo del 1999 (dal 2003 con Etica sgr, società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica) è la portabandiera della finanza etica in Italia. Per il greenwashing dilagante, anche in Banca Etica sono preoccupati: «Le principali preoccupazioni sono due», dice Anna Fasano, prima donna presidente di Banca Etica, già al suo secondo incarico (eletta nel 2019, è stata riconfermata lo scorso anno).
«La prima – spiega – è che si crei confusione per i cittadini risparmiatori. Sia per la complessità della normativa, che tra l'altro è ancora ai primi passi, sia per la poca trasparenza». La norma in questione è la Sfdr (Sustainable Finance Disclosure Regulation), che per la prima volta ha imposto agli operatori finanziari l'obbligo di dare informazioni su se e come integrano fattori di sostenibilità in processi e prodotti. Indicando in particolare se i propri prodotti soddisfano i requisiti di sostenibilità più stringenti della norma (potendosi così classificare come “dark green”, o Articolo 9) o quelli meno stringenti (”light green”, o Articolo 8). «Gli stessi operatori – sottolinea Fasano – hanno difficoltà a comprendere pienamente il senso della norma, che anche per la metodologia che adotta non riesce a essere pienamente rigorosa come vorrebbe. Si aggiunga poi che c'è chi antepone l'obiettivo di vendere di più a quello di fare più trasparenza, per cui si fa passare per sostenibile ciò che non lo è. Così finisce che i risparmiatori, ultimo anello di questa catena, non capiscono cosa vanno ad acquistare: pensano di aderire a una finanza a beneficio dell'ambiente e delle persone, mentre magari così non è».

L'altra grande preoccupazione è che in una situazione del genere non si riescano a spostare rapidamente le masse di denaro che servono per sostenere e possibilmente accelerare la transizione energetica, obiettivo dichiarato del Piano d'azione sulla finanza sostenibile dell'Unione europea di cui la Sfdr, entrata in vigore due anni fa, è il primo tassello operativo. «Sulla carta quel Piano – afferma Fasano – aveva tutto per rappresentare una svolta. Anche perché è innegabile la capacità della finanza di riuscire a spostare masse enormi di risorse in tempi rapidi. Ma se non ci sono strumenti adeguati, presidi, controlli, rischiamo che questo spostamento non avvenga». Senza considerare, poi, che molti anche in ambito finanziario – fra cui la stessa Banca Etica – sono rimasti delusi da come è finita la partita della tassonomia, che doveva definire le attività in cui investire in modo “sostenibile” nella prospettiva della lotta all’emergenza climatica: «Il lavoro sulla tassonomia ambientale – commenta Fasano – si è chiuso in modo deludente con l'inclusione di gas e nucleare. Addirittura ora c'è chi chiede di includere il nucleare fra le energie rinnovabili. Mentre nella tassonomia sociale, i cui lavori procedono a rilento, c'è chi voleva inserire fra le attività “socialmente sostenibili” gli armamenti. Queste non sono proposte legate a obiettivi di bene comune ma agli obiettivi delle lobby: qualsiasi norma, se viene fatta “atterrare” in questo modo, finisce per non incidere». Come si può recuperare la fiducia in parte perduta nella finanza sostenibile, specie fra i piccoli risparmiatori? Come far sì che la finanza possa svolgere il suo ruolo di acceleratore nella trasformazione del modello di sviluppo nel senso della sostenibilità?

Per Fasano, se dal lato normativo non si sortisce l'effetto sperato, bisogna agire dall'altro lato, quello dei risparmiatori: «Io credo nella rivoluzione dal basso, i risparmiatori insieme hanno un potere enorme», sintetizza. Invitando appunto i risparmiatori ad attivarsi: fare domande, essere critici, valutare i prodotti ma anche chi li propone: «Occorre guardare al modello – rimarca Fasano –, all'approccio complessivo», che per chi pratica la finanza etica è il principale elemento di distinzione dalla finanza sostenibile. Poi, non decidere un investimento in base all'ultimo articolo letto su Internet, ma trovare tempo e voglia, e magari i consulenti giusti, per accrescere il proprio bagaglio di conoscenze: è il tema dell'educazione finanziaria.

Infine, bisogna fare pressione sulla finanza come sui decisori politici perché ci sia allineamento su alcuni temi dirimenti: «Perché alcuni no vanno detti», dichiara Fasano. Lo scorso giugno l'Italia (esecutivo Draghi), che ovviamente non è una potenza nucleare ma ospita testate nucleari in basi militari sul proprio territorio, scelse di non partecipare a Vienna alla prima conferenza sul Trattato internazionale per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW, che l'Italia non ha ratificato). «È stata un'occasione persa – stigmatizza Fasano –, su un tema su cui credo sia difficile non trovarsi d'accordo. Bisogna ovviamente vietare gli investimenti in quest'industria, ma anche la politica deve fare la sua parte. Finanza e politica dovrebbero entrambe guardare al bene comune». Un mondo ideale? Forse. Ma sempre più urgentemente necessario.